recensioni dischi
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BEFORE SUNSET  "Paura del futuro"
   (2018 )

Ho conosciuto il mio amico Luca 44 anni fa, all’asilo. Quando ci vediamo parliamo solo ed esclusivamente di musica, mai delle nostre famiglie, mai di lavoro. Ascoltiamo dischi, andiamo a concerti, cose così. Se Luca sapesse – glielo confesserò – quanto io apprezzi questo album, citando i Verdena mi direbbe: “Un po’ esageri”. Poi però capirebbe e mi darebbe ragione. Perché i Before Sunset, quattro ragazzi del Monferrato, scrivono come noi due quando suonavamo insieme, molto tempo fa. Non saprei: l’urgenza, l’istinto, la creatività dei vent’anni. Interessante “Tufo”, debutto del 2016 in formazione a tre, acerbo ma già consistente. Non è forse un caso che nel nuovo capitolo della loro giovane storia decidano di riprendere due tracce da quel lavoro (“Dammi Un Cielo” e “Legnaia”): in “Paura Del Futuro”, pubblicato per InLoopMusic/Believe Digital, trovano posto nove tracce che procedono spedite, mai aspre o incarognite, sempre – al contrario – levigate da una disillusa bonomia di fondo, tradotta in un insolito connubio tra istanze indie (la musica) ed una scoperta vena cantautorale (le liriche). Su questo sagace impasto si staglia con veemenza la vocalità stentorea di Alessandro Demaria, il cui peculiare crooning – una smaccata attitudine al canto frontale, mixato in faccia come una sberla - sembra a tratti assumere perfino sfumature da post-hardcore ingentilito, abito adatto a rivestire melodie ampie, scatti rumoristici e ritmi squadrati. Si prendono un paio di minuti per l’ingresso strumentale di “Intro – Congiuntivo”, poi sparano la bordata di “Condizionale”, che è uno spettacolo di frenesia ed elettricità satura, un quattro quarti dritto-per-dritto tra Bob Mould e certe inflessioni chitarristiche à la Yo Yo Mundi sublimato in un chorus largo e letale: mi sovvengono i Rossofuoco di Giorgio Canali e flash degli Estra, almeno negli episodi più lineari e meno ispidi, come la ballata in crescendo di “Welsh”, spezzata come un grissino da una variazione inaspettata nel minuto conclusivo. Sono soltanto prove indiziarie, sparse e disseminate come briciole di Pollicino in un percorso capace di confondere: “Dammi un cielo” è una martellata fustigata da un incedere della batteria e da un intreccio di frasi di chitarra che non possono non ricordare i Prozac+ (ma anche le Pornoriviste o i Razzi Totali, questione di gusti); “La Colpa è mia” potrebbe appartenere – udite, udite: senza forzature o altro - al repertorio dei Sisters Of Mercy periodo “First And Last And Always” (o al limite dei Diaframma degli albori), con quell’inconfondibile intarsio dal retrogusto flangerato ed il canto che vira al baritonale. Ma amano trastullarsi con tutti i balocchi possibili, comprese le debordanti inflessioni emo evidenti in “Playmobil” – quasi i Fine Before You Came –, più nascoste nella sassata di “Legnaia”, tra Latente e Gazebo Penguins. Chiudono con la ballatona elettrica di “Prima Del Tramonto”, tre minuti e mezzo di un mid-tempo sbavato via su un’aria in maggiore che mi ricorda tutto e niente, uno di quei testi che parlano di qualcosa che non so esattamente cosa sia, ma che andrà bene comunque, perchè almeno un frammento di quelle parole sono certo di averlo vissuto. Magari quando suonavamo insieme io e Luca, molto tempo fa. (Manuel Maverna)