recensioni dischi
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LENE MARLIN  "Playing my game"
   (1999 )

Norvegia. Fiordi. A-Ha. Viene in mente altro, almeno parlando di musica? I Fra Lippo Lippi ("Shouldn't have to be like that", 1985), che se si ricorda qualchedunaltro, oltre al sottoscritto, vince un invito sotto casa mia per bere alla memoria. Tanta roba dalla Svezia, soprattutto techno-reggae (non ci credete? Dr. Alban? Leila K?), ma da Oslo e dintorni si era fermi a Morten e compagni. Poi arrivò lei, Lene. Una specie di Morrissey in gonnella, se solo avesse usato gonnelle e non jeans più adatti alla sua età ancora verde, con chitarra, e un carnet di canzoni "tristitristitristi", avrebbe detto Ivan Graziani. Magari ripetitive, come le malinconie di chi magari si affaccia alla finestra, vede il grigio inverno norvegese, e piange per non poter essere Paradisio e cantare "Bailando bailando". Però, in un mondo di ragazzine già sculettanti prima ancora del menarca, lei sembrava Patti Smith: ci furono svariati singoli, a portarla al successo ("Unforgivable sinner", "Sitting down here", "Where I'm headed"), un Sanremo, e la difficoltà di archiviarla nel solito file di blanda musica da cinnazzi. Non era male, anche se si poteva andare dalla fanciullina e dirle "su con la vita!": lei si sarebbe rintanata per qualche anno, poi un buon ritorno, con faccino meno teenager ma sempre comunque tanto, tanto carina. Siamo maschietti anche noi, perbacco. (Enrico Faggiano)