recensioni dischi
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BUCKINGUM PALACE  "Club"
   (2018 )

Tutte le favole che abbiamo ascoltato da piccoli, iniziavano sempre con il fatidico “C’era una volta…”, appena venivano pronunciate quelle magiche parole iniziava il viaggio fantastico di ogni bambino, e così, facendo un bel balzo nel tempo, in questa mia chiacchierata sui Buckingum Palace, voglio prima raccontarvi, a modo mio, una favola musicale…. “C’era una volta in Italia…”, agli inizi degli anni novanta, una corrente musicale chiamata alternative rock che, grazie ai Verdena, ai Marlene Kuntz, al Teatro degli Orrori, agli Afterhours e ad altri gruppi, era riuscita ad esprimere musica di livello qualitativo molto elevato, creandosi uno spazio importante nel panorama discografico italiano. Poi improvvisamente le dure regole del mercato o, qualcuno sussura, a seguito di presunti tradimenti di alcune band, che hanno venduto la propria anima indie ed alternative alle major discografiche, questa corrente musicale è andata un po’ in crisi. Ma come nelle favole, anche stavolta avremo il nostro lieto fine, infatti ascoltando “Club”, LP d’esordio dei Buckingum Palace, devo dire che questo giovane trio, nato tra Lecce e Milano, è riuscito nell’intento di incidere un disco che ha davvero “qualcosa di magico”, ridando nuovo lustro e soprattutto nuove sonorità all’alternative rock italiano, grazie alle interessanti contaminazioni emo-shoegaze, noise e post-rock. “Club“ è un progetto autoprodotto che segue, a poco più di un anno di distanza, “Macedonia”, l’ep d’esordio della band, rispetto al quale i tre giovani musicisti hanno fatto dei notevoli passi in avanti, raggiungendo un buon livello di maturità compositiva, sia negli arrangiamenti che nella ricerca della “melodia” dei testi. L’ascolto di “Club” è un invito ad un viaggio di sola andata verso uno spazio introspettivo che, attraverso le 10 tracce di cui si compone il disco, porta l’ascoltatore in una dimensione musicale ultraterrena. Si viene subito lanciati in orbita dalla velata, eterea e nebbiosa “Spiagge”, una breve intro che funge da proemio a “Grande Mole”, brano che è la giusta sintesi di quello che la band vuole esprimere: la voce sinuosa e sognante di Clara Romita funge quasi da strumento musicale aggiunto, e si fonde alla perfezione con il basso “plettrato” di Annalisa Vetrugno ed ai suoni distorti, ai riverberi ed ai riff incalzanti, spesso monocorda, della chitarra di Stefano Capoccia, un combinazione esplosiva di sonorità shoegaze, che nel finale si aprono e si disperdono in acustiche post-rock. Lo spartito si ripete nei due brani successivi, con una fugace intro strumentale, “Reietto”, a fare da preludio ad un brano in puro stile noise, “Duttile”, dove ancora una volta la voce di Clara si insinua alla perfezione tra elementi elettronici, suoni atonali ed agglomerati di vibrazioni aspre, distorte, quasi stridenti, ma che, in un continuo crescendo di pathos, disegna contorti labirinti onirici. L’ascolto del disco è lento, sinuoso, si rimane sospesi in un’atmosfera crepuscolare grazie alla tempesta di emozioni post rock di “Pabloo Onolis”, un concentrato di chitarre malinconiche, testi ermetici e incalzanti tensioni ritmiche, che ti trasportano verso uno dei tanti brani strumentali del disco, “Caveau”, totalmente permeato da dissonanze e feedback, da suoni confusi e distorti, elementi tanto cari agli appassionati di noise music. I toni si ammorbidiscono in “Dallo Spazio”, il basso di Annalisa Vetrugno rende l’atmosfera più soffusa e Clara, oltre che a saper cantare, ci fa capire che è anche un’eccellente batterista, così sul finale i colpi si infittiscono e le sonorità della band esplodono con tutta la loro personalità in “Tsunami”, dove si viene letteralmente investiti da inaspettate, disordinate e coinvolgenti variazioni ritmiche, che suggellano le indiscusse qualità e capacità di esecuzione dei Buckingum Palace e, soprattutto, la grande complicità musicale del trio. “Club” si chiude con “Cinnamon” e “Rigoglio/Fioritura”, due liriche che, più di ogni altro brano del disco, sintetizzano l’umore della band, sempre in bilico tra il precario e l’instabile, con ampi tratti di insofferenza e disprezzo; ma forse è proprio grazie a questi alternanti stati umorali che i Buckingum Palace sono riusciti a creare un progetto musicale non-convenzionale, coraggioso ed affascinante, che mi ha positivamente impressionato anche per la sua struttura ritmica complessa, insolita e possente, per un ottimo arrangiamento, e che, per la grande voglia di sperimentazione, mi ha totalmente convinto e soddisfatto. (Peppe Saverino)