recensioni dischi
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HOGS  "Fingerprints"
   (2018 )

Da Firenze arrivano gli Hogs, una band che propone un hard rock con influenze funk e tanto blues, una mistura tipica dei crossover anni '90. Le coordinate sono ascrivibili ai classici, ma i quattro musicisti sanno giostrarsi tra un riferimento e l'altro senza essere epigoni di qualcuno o restare troppo prevedibili. L'album "Fingerprints" fa notare una marea di richiami diversi e mette in mostra soprattutto l'affiatamento del gruppo, specie nei groove all'unisono come nel finale di "Australia Summerland", pezzo con strofa energica e refrain maggiore e ottimista, con reminiscenze di "Summer's end" dei Foo Fighters. Il suono si fa zeppeliniano in apertura con "Man size", dove si avverte una lite in inglese con una donna, che poi svolge anche il ruolo di corista. Il funk si sente in "Stinking like a dog", ma il sound pieno va per la maggiore in "Mr. Hide", sia nei veloci come "Man of the scores" che nei moderati come "Another dawn" e il sincopato "Don't stop moving". Ci sono anche sorprese come il jazzy "Down to the river" e il soft "Jewish vagabond", ma il brano più emozionante viene lasciato per ultimo, la ballata "Just for one day", dove spiccano nell'arrangiamento la chitarra acustica, l'hammond e soprattutto il coro femminile, adottando l'atteggiamento grandioso di canzoni superbe come "Learning to fly" dei Pink Floyd, però con, in questo caso, approccio molto più blues che prog. Sembra che gli Hogs non vogliano stare sedentari in un unico stile, come dice un loro pezzo: "Can't find my home, I'm going away". Del resto nel 2018 il rock è ormai un universo già esplorato tantissime volte, e l'unico modo per riproporlo senza annoiare è essere duttili e pronti a rimaneggiare quanti più elementi noti possibile, come gli Hogs hanno dimostrato di saper fare. (Gilberto Ongaro)