recensioni dischi
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BONETTI  "Dopo la guerra"
   (2018 )

Dopo che, tre anni fa, aveva deciso di salire sul “Camper”, il cantautore torinese Bonetti si ritrova, oggi, a proseguire il suo percorso artistico con la seconda prova, “Dopo la guerra”, e lo fa con accentuata sincerità, maggior consapevolezza e ispirazione e, soprattutto, mestiere, rispetto al “veicolo” dell’esordio: dentro all’abitacolo, quelle canzoni non godevano di uniformità, nonostante fossero sensate e godibili. Qui, invece, la tracklist non è un dado lanciato per caso nella speranza di un risultato inatteso ma, semmai, una specifica sequenzialità studiata al punto giusto per fornire all’ascoltatore quelle strategie rivoluzionarie per reinventarsi come persone, dopo il crollo di certezze sotto forma di cose e persone care che davano quel senso di riferimento saldo, e sicura protezione contro le intemperie spiazzanti del vivere. Per veicolare al meglio il messaggio, l’artista transita con 9 tappe di guerra misurata, con l’essenzialità di chi vuol incunearsi nelle coscienze con discrezionalità assoluta e non distrarre l’ascoltatore con barbariche invasioni sonore. Spolverate di synth, aliti narrativi che convogliano grinta e spessore, tematiche d’impatto dal forte sapore reattivo. Sono almeno tre i punti cardine del disco: “E’ guerra” rappresenta la salita apicale delle difficoltà, “Correre forte” evidenzia quel dualismo casa-città, amica-nemica di quel rifugio certo ma, al contempo, da rinnegare in parte per trovare un nuovo risorgimento in sé ed, infine, “Dobbiamo tirar fuori qualcosa”, simbolo di quella discesa tanto agognata dopo tanto tribolare, commentata da fraseggi e una certa metrica in stile Federico Fiumani. Se Bonetti scrive che “Il cuore è una periferia”, allora l’anima è il rione in cui ci si deve sempre ritrovare per un summit ristabilizzante, senza dimenticare che già il fatto di essere ancora della partita deve portare a depennare tanti, troppi interrogativi fuorvianti, perché già nel prossimo minuto saranno già superati dal continuo mutamento della vita stessa. Con la preziosa supervisione del producer Fabio Grande, Bonetti ha fatto sì che “Dopo la guerra” risultasse un disco di rottura nelle architetture tecniche, eppur rispettoso nel suo disegno ideologico e compositivo. Bonetti, stavolta, ci ha messo tanto personalismo e pregiata nudità descrittiva, che non passerà di certo inosservata in un’epoca in cui l’opulenza ha (purtroppo) ancora la meglio, ma Bonetti potrà alimentare quel fuocherello che arde sotto la brace salvitica dell’essenzialità. (Max Casali)