recensioni dischi
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PAOLO SAPORITI  "Acini"
   (2018 )

Il talentuoso Paolo Saporiti con “Acini” dà alle stampe un disco che si inserisce perfettamente nel discorso portato avanti dai suoi due album precedenti, il self-titled del 2014 e il doppio “Bisognava dirlo” del 2015. Le sonorità esplorate in “Acini” – il cui titolo riprende quello di un romanzo inedito del padre, “Acini d’uva” – sono quelle dei recenti dischi di Saporiti, sviluppate ulteriormente all’interno di un sottofondo folk sempre presente.

Il disco si apre con “A due passi dal cielo”, che del self-titled del 2014 riporta al centro dell’attenzione l’arrangiamento piuttosto spoglio caratterizzante l’inizio del brano per giungere poi, nel finale, a una ricerca sonora aggressiva e straniante già presente in “Bisognava dirlo”; emergono soprattutto i versi poetici dei testi, qui come altrove, e la voce sempre impostata e sempre emozionata/nte di Saporiti, che modula con meticolosa precisione ogni sillaba. Segue – in questa esplorazione di “stati universali che mai come in questo momento ritengo giusto e sensato scandagliare come autore di canzoni quarantenne che vive in Italia, paese in costante e irrefrenabile declino”, per utilizzare le parole di Saporiti – una parentesi melodica e leggermente speranzosa, “Che cosa rimane di noi”, che guarda alla natura umana senza paura di criticarla aspramente o di ammirarla silenziosamente quando serve. “America”, terzo solco del disco, esplora ulteriori linee stilistiche che già in passato Saporiti aveva calcato: arrangiamento orientaleggiante, voce in parte aspra in parte sussurrata e arpeggi chitarristici notevoli rendono il pezzo una parentesi particolarmente originale. “Amica mia” è una ballata appena pronunciata, sincera e lapidaria, dove le percussioni ipnotizzano l’ascoltatore e il ritornello apre uno spiraglio di luce nel buio; segue “Arrivederci Roma”, dal titolo citazionistico e canonizzato, un’esplorazione folk nelle sensazioni più pure dell’animo del cantautore, sempre in bilico tra il voler esprimere un forte senso di libertà e individualità e il dover ribadire a sé e agli altri di essere all’interno di una tradizione, un albero genealogico e un discorso anche artistico.

“Profumo di te” fa cambiare ulteriormente volto al disco, rockeggiante e ritmata com’è: ne esce fuori un divertissment dal testo molto ricercato e profondo. “Anima semplice” riporta tutto nell’ambito neo-folk creando un’atmosfera quasi rurale e mistica, tra arpeggi dilatati, voce ampia che rallenta e accelera in base ai momenti del pezzo e percussioni appena sfiorate. “Cambieremo il mondo”, che già dal titolo suona come inno di speranza e lotta, amplia ulteriormente le sfumature e gli stati d’animo indagati dal disco, con la pienezza che esprime e la stupenda melodia da cui è caratterizzata: la voce si abbassa e si innalza e sprigiona tutta la sua potenza fino a un assolo strumentale finale breve ma incisivo. “Le passeggiate notturne del re” è una lunga meditazione filosofica non disperata ma di certo non ottimista, una ballata d’altri tempi, una favola antica che si apre a tante diverse interpretazioni: le chitarre lente e oziose gareggiano con la voce indecisa e flebile; ci sono alcuni climax, momenti di slancio che potrebbero portare all’esplosione; ci si ferma però prima, lasciando volontariamente un senso di incompiutezza e disorientamento che rappresentano forse il messaggio stesso della musica di Saporiti. L’album si conclude con la ritmata “La mia luna”, altro impianto folk che si sposta verso orizzonti rock e si apre a momenti melodici straordinari. Paolo Saporiti continua il suo discorso in maniera coerente e concisa, e questo disco è un degno proseguimento della sua avventura artistica. (Samuele Conficoni)