recensioni dischi
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TERRAMADRE  "Terramadre"
   (2018 )

Nella giungla del mercato discografico ci sono tanti modi per convincere il pubblico, i giornali o la redazione di un magazine musicale a parlare di un nuovo disco, lo si può fare puntando su di una copertina accattivante, adottando un nome stravagante ed attraente oppure, come citava una vecchia pubblicità degli anni ’80, cercando di stupire l’ascoltatore con effetti speciali. I Terramadre invece, con il loro omonimo album di esordio, hanno scommesso su quell’idea di rock classico che non sarà mai fuori moda, impreziosito dalla contaminazione lirica ed interpretativa tutta italiana, e dalle tinte sonore tipiche del sound prog-britannico. Fin dalla prima traccia, la band emiliana mette in chiaro il proprio concetto di rock, e soprattutto ciò che vuole trasmettere: si parte subito con “Che cosa rimane”, dove con un riff efficace, ed incalzante nella sua semplicità, fatto di chitarra, basso e batteria, introduce una canzone intensa e d’impatto, che fin dalle prime note ti proietta dentro una realtà nuda e cruda, raccontata senza ornamenti e metafore, con un messaggio diretto fatto di veementi e contrastanti emozioni che sfociano nel penetrante refrain: “Che cosa rimane del tempo passato a giurarci l’amore... il riflesso negli occhi degli altri, del nostro dolore rimane la rabbia che sale dal fondo a scagliarsi contro, a scagliarsi contro”. Sfumature sonore che richiamano la musica prog si impossessano invece di “Girano (Passano le Nuvole)”, un brano fatto di adrenalina pura e di chitarre “feroci”, un brano vorticoso come “Le nuvole che passano veloci come i miei pensieri” e che sfuma nel finale per accompagnarci alla traccia successiva, “Ho Sbagliato Credo che Basti”, un’intensa rock-ballad che colpisce dritta al cuore. Ancora riff di chitarre, stavolta più distorte e vigorose, introducono “L’Unica Strada” e “Isole”, brano, quest'ultimo, che con il “contagioso” refrain e grazie al fantastico assolo di Salvatore Bazzarelli al Moog, entra subito in testa, e così mentre scrivo mi ritrovo a canticchiarne il ritornello: “Siamo storie appena accennate e parole dimenticate, noi siamo un’occasione, siamo un’occasione da non perdere”. E sicuramente da non perdere è l’ascolto di “Lei” e “Nadia non si diverte più” , dove i toni si fanno più malinconici e sensuali, consentendo al rock dei Terramadre di fare un tuffo negli anni ’90, aprendo la porta dei sogni e del complesso mondo femminile. Ma… “è finita questa stagione di rivolte e di anarchia, ed ogni giorno è un giorno nuovo, e ora che fischia il vento, è questo il mio momento!”, e sicuramente è il momento giusto per la band emiliana di immettere sul mercato questo ottimo progetto musicale, che si conclude, appunto, con “Ora che Fischia il Vento” e “Un Momento”, due brani avvolgenti, dall’immediato impatto, accattivanti e dal puro stile Terramadre, dove le chitarre emergono con prepotenza e la “muscolosa” sezione ritmica si trasforma in melodia, piuttosto che in puro riempimento. Un disco che vale la pena ascoltare ed acquistare, per chi come me adora il songwriting ispirato e che viene accompagnato dalle ottime prestazione musicali della band; un lavoro ben fatto che all’ascolto si rivela molto compatto e stimolante, con brani che scorrono piacevolmente anche se talvolta si ha la sensazione di un "già sentito", soprattutto nell’interpretazione e nel timbro vocale, che richiama spesso le corde di illustri cantautori emiliani come Bertoli e Vasco Rossi. “Terramadre” è, in definitiva, un progetto musicale che fa della semplicità il suo punto di forza, che sa picchiare duro con le sue onnipresenti chitarre, ma che al contempo riesce a dispensare avvolgenti carezze, un disco che percorre con onestà la strada del rock tracciata nel 1979 dal mitico Neil Young, quando nella celebre ''Hey Hey, My My'' dichiarava a tutto il mondo che, se suonato con semplicità e con passione, “rock ‘n roll can never die": e grazie ai Terramadre e al loro disco il buon rock ‘n roll italiano continua a vivere. (Peppe Saverino)