recensioni dischi
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HORUS BLACK  "Simply"
   (2018 )

Quando il futuro suona già vecchio, guardare al passato aiuta a ritrovare nuova linfa artistica. Riccardo Sechi, in arte Horus Black, è un giovanissimo cantante genovese (del 1999), cresciuto in una famiglia di musicisti, e in adolescenza sviluppa una dichiarata devozione per Elvis Presley. Dopo un'infanzia passata a suonare il violino, impara da autodidatta a suonare chitarra, pianoforte ed ukulele. Pare molto legato alla figura dei nonni: il nome d'arte "Horus" proviene dalla passione per l'Egitto del nonno materno, mentre un suo pezzo ("Miss Candy") è dedicato al nonno paterno, immaginandoselo cantare una dedica alla moglie, scomparsa quando Riccardo aveva 4 anni (tra l'altro il brano è una ballata in 6/8 carica di pathos). L'album d'esordio "Simply" mette in mostra la voce di Horus Black, che riprende i caratteri del Pelvis in the Memphis, sia la convinzione nei brani più veloci, che la dolcezza quasi teatrale nei lenti. Sano rock'n'roll in canzoni classiche come "Sophie", "Cock a doodle doo", "We can't go on this way" (dalla seconda metà) dove la voce frizzante gioca a fare talvolta dei gridolini stile primissimi Queen. Sorprendono i ricchi arrangiamenti (non per chissà quali novità sonore, ma ricchi per questi anni, dove solitamente su quest'aspetto si va al risparmio...). La citata "We can't go on this way", se nella seconda parte è puro rock'n'roll, nella prima invece è un misterioso lento psichedelico, e le due metà sono collegate da un gong. La maggior parte dei pezzi si può vantare di un lussuoso arricchimento orchestrale, tra fiati ed archi che a volte richiamano la discomusic ("I know what you want"), e a volte il tutto fa pensare a un ritorno di una sorta di Tom Jones aggiornato, specie su "Simply", col suo piano rhodes e chitarra elettrica pulita che posiziona qua e là degli accordi di settima maggiore, à la Spandau Ballet, sebbene la batteria scorra dritta. Anche "The march of hope", che inizia come una marcetta, si risolve poi in un happy pop, con un testo che sfiora l'ingenuità ("All you need is just a bit of hope"). Il marchio di Elvis però resta il principale conduttore, tanto che Black imita, forse involontariamente, tre note della melodia di "Can't help falling in love" nella strofa di "In my bed"; ma è solo un passaggio che porta altrove, su un ritmo moderato e delicato, con la chitarra che utilizza un piacevole tremolo nasale. L'onnipresente orchestra suona strana in canzoni come quella più rock, "We are alone tonight", ma rende il ritornello divertente. Un 3/4, caricato da timpani, è l'esito più malinconico dell'album, col pezzo "Lonely melody", dove spicca l'espressività vocale di Horus. Che dire, un esordio di tutto rispetto per un emergente. Bisogna sperare che Black trovi il suo spazio giocando in mezzo al revival vintage, in Italia portato al mainstream da Nina Zilli, ma anche guardando all'estero. (Gilberto Ongaro)