recensioni dischi
   torna all'elenco


SLOW WAVE SLEEP  "L'ultimo uomo"
   (2018 )

Ci sono artisti che se ne fregano altamente dell'immediato successo, e non scendono a compromessi. Già dall'esordio Emilio Larocca Conte, per il suo progetto Slow Wave Sleep, parte in quinta con un disco davvero ambizioso, che definisce "pop liquido"; e, cosa così fuori moda, necessita di diversi, ripetuti ascolti per essere assorbita del tutto. Ma per chi vuole ascoltare davvero Musica, complessa ed affascinante, composta con una concezione di story telling tipica del prog ma senza imitare il passato, l'album "L'ultimo uomo" è davvero un conforto, in questo mare di musichette create col solo scopo di ottenere hype, dalla data di scadenza sempre imminente. Un fatto di pregio assoluto dell'Lp "L'ultimo uomo" è che, nonostante la costruzione del racconto sia tipica del filone progressive, i suoni non sono per niente vintage, non ci sono né riferimenti agli anni '70 né ai '90: si tratta di elettronica moderna, spesso in 4/4 a cassa dritta, con i suoni levigati dei giorni nostri. E nonostante Emilio disponga di una voce valida, portatrice di un certo carisma e di un timbro teatrale malleabile, non c'è più il pudore di utilizzare talvolta l'autotune in maniera esplicita ed estetica. Anche perché "giustificata" (se mai nel 2018 ci sia ancora bisogno di giustificare l'autotune) dal contesto narrativo fantasy distopico e surreale. La storia, ambientata nel 2047, descrive un mondo dove l'uomo ha colonizzato tre pianeti, e ad un terzo della popolazione umana è stata impiantata un'intelligenza artificiale. I singoli capitoli però si focalizzano su precisi momenti: "Caveat emptor" inizia dalla nascita del protagonista, Rèfles, con descrizione del travaglio della madre e le sensazioni del neonato ("la pelle brucia!"). Già all'inizio della vita c'è qualcosa di anomalo: "Nasce, cresce, striscia, l'insetto interiore striscia, incarnando il mio rancore". Si incrociano descrizioni ambientali a interpretazioni psicologiche: "Il sogno finisce in un mare azzurro ancestrale, in cui far nuotare ricordi e la pace dei sensi". Poi si passa al racconto di un altro personaggio, "Shiroi", giovane marinaio illibato: "Un moccioso che tra i bucanieri era il meno informato sul dolce sapore di morbide labbra di donna". Il capitano Ismaele lancia i dadi, gesto che modifica il destino, ma verso la fine del pezzo "L'Angelo Rosso sembrava non voler rispettare l'esito dei dadi". Ci sono anche creature allegoriche, un mostro che arriva a tribordo, e quando si canta: "Il cielo sovrastato da un muro di suono", la musica risponde con un suono distorto, a dente di sega. Non si comprende però se il mostro sia un nemico: "A cosa serve lottare contro un male che lotta con noi?". I testi sono difficili da seguire, poiché bisogna innanzitutto ambientarsi in una realtà onirica e diversa da quella logica ("i lamponi si alzano"), e la velocità di narrazione è tale che qualcosa sfugge sempre, senza il libretto davanti. C'è tanto a cui prestare ascolto, ed è tutto curato nei minimi dettagli: il contenuto dei testi, la forma estetica delle parole, le ampie melodie cantate, l'arrangiamento elettronico, i bassi gommosi ed acidi, i cambiamenti d'atmosfera, le canzoni destrutturate. Diverse tracce durano più di 10 minuti, e tutta l'opera richiede un'ora e venti minuti di assoluta attenzione. Del resto, così si dovrebbe ascoltare la musica, quando la si vuole ascoltare davvero, senza farsi distrarre da altri stimoli. E "L'ultimo uomo" impone questo assorbimento. Oltre agli umani delle Colonie, c'è anche una rivolta in un formicaio; in "Ragnarok" si narra la ribellione di una formica operaia contro la regina. Le formiche sono evidente metafora di una realtà ben più vicina: "La sveglia ricomincia a suonare, e le operaie si mettono in fila per supplicare la più quotata divinità che mastica produttività, e sputa l'illusione di poter diventare fertili prestanti, più benestanti come regine, basta impegnarsi sempre più degli altri". Chi ha orecchi da intendere, intenda. La critica alla società emerge qui ed altrove ("Puro sadismo e misantropia fanno spesso da antidoto all'odio" da "Rencontre germinal", "L'immobile progresso un passo verso un'ulteriore genesi" da "Mӧrgæs Rìki", o "Rendere le persone come criceti" da "Parresia"). Alcuni titoli sono riportati in cirillico, quasi a marcare la loro provenienza dall'altro da sé delle altre Colonie. Se non tutto pare lineare nel racconto, è anche motivato da un verso di "Rencontre germinal": "In questo luogo asettico con tono acrilico nonsense". La rivolta delle formiche porta all'estinzione dell'uomo, e Réfles resta l'ultimo sopravvissuto, che brinda allo specchio. In "Chernyy Val's" veniamo a sapere di ferite sulle braccia che emanano luce blu, oltre che ascoltare inaspettate percussioni industrial. "L'ultimo uomo", pezzo che chiude l'omonimo album, è uno strumentale che indugia su tonalità minori e suoni post apocalittici. E' davvero, questa, un'opera ricchissima di stimoli musicali, filosofici e poetici, e tentare di riassumere il tutto in una sola frase è pressoché impossibile, se non citando un altro dei versi: "Finale più che allegro di una satira dallo stile iperbolico". Iperbolico ecco, un album iperbolico e sensazionale, da custodire e riascoltare in più età diverse della vita, perché ad ogni grado di maturità darà impressioni diverse. (Gilberto Ongaro)