recensioni dischi
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FRODE HALTLI  "Avant folk"
   (2018 )

Il nuovo album del norvegese Frode Haltli, ''Avant Folk'', è un tuffo nel folk più sperimentale, intimista e versatile del momento, sempre in bilico tra jazz, pop e ambient, sia nelle atmosfere che nella strumentazione utilizzata; non mancano riferimenti al blues del deserto africano, alle danze dell’est Europa e a motivi tradizionari del nord (Norvegia, Faroe), il mondo che ha dato i natali ad Haltli. In questo panorama ampio, a tratti confusionario, non c’è una nota che non sia misurata e inserita all’interno di un discorso coerente.

Avant Folk si apre con “Hug”, un brano potente e sognante, che vede sussurri melodici dettati dall’accordion e momenti ritmati e decisi, con un mix di tradizioni che si accavallano. “Trio”, il brano seguente, continua su quella linea: Haltli non è interessato solamente alle tradizioni del suo nord Europa, che sono però sempre chiamate in causa e punto di partenza di tutto; si intrecciano, infatti, anche le danze popolari balcaniche, l’influsso ritmico africano, l’impostazione statunitense e in generale occidentale dell’attuale neo-folk (Fleet Foxes, Iron & Wine, addirittura Bon Iver), e in questo insieme di punti esce fuori qualcosa di delicato, misurato, originalissimo. “Kingo” – dalla durata superiore ai dieci minuti, ma che non è il pezzo più lungo del disco, che sarà invece l’ultimo – è anch’esso un brano pieno di influenze variegate, un crocevia di culture diverse e sonorità opposte, che dimostra quanto Haltli sia maturato negli anni, dal suo esordio nel 2002 a oggi, lui che era già un musicista di talento da bambino, e che nel corso della sua carriera ha potuto confrontarsi e collaborare con nomi del calibro di Trygve Seim e dell’Arditti Quartet, nonché eseguire opere di grandi artisti come Salvatore Sciarrino e Aldo Clementi. Di questo universo enorme, che comprende folk, global music, blues, classica contemporanea e non solo, Haltli sa condensare alcuni elementi, rivisitarli e appropriarsene, dando voce a un timbro tutto suo.

La seconda parte del disco segue la medesima filosofia della prima. Gli ultimi due brani, “Gràtar’n” e “Neid”, una sinfonia contemporanea di tredici minuti, sono ulteriori manifesti di poetica, con l’ultimo brano che, come il primo, è composto interamente da Haltli, laddove quasi tutti gli altri, pur arrangiati e rimaneggiati da lui, discendono da brani tradizionali più o meno lontani. “Gràtar’n” è ancora quel crocevia di influenze e ricami che si intessono tra folk leggero e onirico e jazz; l’ultimo brano, “Neid”, è un dolce commiato che suona più come un arrivederci, perché il tocco sapiente e profondo di Haltli non si ferma qui, e la sua ottima musica, come la sua continua evoluzione, ci regalerà altre sorprese in futuro. (Samuele Conficoni)