recensioni dischi
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HILDE MARIE HOLSEN  "Lazuli"
   (2018 )

È tornata la trombettista norvegese Hilde Marie Olsen. A tre anni di distanza dal suo debutto (“Ask”), la Olsen riparte da atmosfere identificabili con la locuzione “post-jazz”. Se il precedente lavoro si inseriva nel solco di una musica ambient dalla forte attitudine sperimentale, “Lazuli” si regge sul serrato dialogo fra dei soffertissimi e lamentosi fiati e intarsi elettronici, risultando, se possibile, ancor più sperimentale del suo predecessore, ma anche il suo naturale prosieguo. “Lazuli”, appena uscito per Hubro Records, si schiude sulle note funeree di “Orpiment”, intrise di oscurità e in grande tensione, illudendo solo a tratti coi bagliori della fase centrale. “Eskolaite”, invece, privilegia l’elettronica nella sua fase iniziale, mentre i fiati, lontani e distorti, compaiono più avanti. Le atmosfere tenebrose sono quelle di “Orpiment”: è in questo scenario che si stagliano le macerie di un jazz deformato e decostruito, meglio descritte dai sette minuti di “Lapis”. A chiudere è la titletrack, la cui durata è simile a quella dei tre brani precedenti messi insieme. L’intro è lenta e lineare e rappresenta il tentativo (riuscito) di far dialogare pulsioni sperimentali e post-jazz, mentre nella fase centrale il brano si poggia su un tappeto sonoro da cinematografia dell’orrore. Lo sfumare è lento, i fiati si fanno più rarefatti e subentrano ancora glitch e suoni digitali. “Lazuli” affascina con le sue atmosfere sospese e tenebrose, figlie di ricerche musicali e di un processo di maturazione che si sta compiendo in fretta, si attesta sugli stessi ottimi livelli del lavoro precedente e ambisce a un ruolo di primo piano nelle classifiche di settore per quanto riguarda jazz sperimentale e dintorni. (Piergiuseppe Lippolis)