recensioni dischi
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MAP 71  "Void axis"
   (2018 )

Il quarto album del duo di Brighton Map 71, “Void Axis” (appena uscito per Fourth Dimension Records/Foolproof Project), è un viaggio nello spazio e nel tempo, una dichiarazione artistica di notevole maturità, dove l’elettronica assume svariate forme e non risulta mai uguale a sé stessa, tra lati psichedelici, momenti industriali e passaggi quasi jazz.

“Void Axis” si apre con “Primary Radioaction”, una fuga nel buio, piena di spunti originali e coinvolgenti. E subito l’elettronica si fonde con un’improvvisazione da free jazz, dove i synth si dividono la scena creando un campo di battaglia epico. La voce di Lisa Jayne si adatta perfettamente al (super) lavoro di Andy Pyne, che con l’elettronica e la drum machine ci sa fare parecchio. Musica coraggiosa, difficile, anche poco orecchiabile, che conquista e appassiona, come nell’episodio kraftwerkiano “The Prefab”, lascito della grandezza di quel kraut rock dei ‘70s che ha mostrato la strada a tanti. E c’è pure qualcosa dei Can, nel ritmo e nell’impostazione, mentre i Suicide, sotto sotto, osservano silenziosi. Il compianto Alan Vega e il socio Martin Rev riemergono anche in “Nuclear Landscape”, sotto un muro del suono che non può non ricordare la mitica “Frankie Teardrop”; e la voce della Layne, volutamente debole e trascinata, sembra proprio guardare a quella di Vega. E “The Future Edge” continua su questa falsariga, dimostrando come suoni piuttosto classici e ormai entrati nel mito possano essere attualizzati, rivisitati, ricontestualizzati. “Minimal Bridget” è la fase più industrial del disco, rumorosa e aggressiva, alienante e spaventosa, perfettamente gestita dai Map 71, che con autorevolezza e convinzione la rendono appassionante e “gradevolmente” fastidiosa, come deve essere.

La seconda parte del disco rimescola di nuovo le carte pur guardando sempre agli stessi personaggi. Suicide, Kraftwerk, ma anche Brian Eno e David Byrne della loro “Life in the Bush of Ghosts”. La spettrale “Armour and Ecdysis” assorbe persino qualche lezione di Fiona Apple, delle sue straordinarie, dissonanti melodie. “Neonsignquietlife” riprende la linea dei Kraftwerk, impossibile da imitare o riproporre e coraggiosa da rivisitare e attualizzare; i Map 71 riescono nell’impresa, mescolando kraut a minimalismo, rock a techno. “21/12” vede un impianto musicale molto minimale, da Autreche, mentre la voce e i synth che ogni tanto compaiono virano di nuovo verso il kraut di “Computer World”; la conclusiva “Skeleton Gang”, invece, affronta il territorio della psichedelia in maniera convincente, intelligente e originale. I Map 71 non sbagliano e danno alle stampe un disco potente e variegato. (Samuele Conficoni)