recensioni dischi
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CAPSIDE  "Tous les hèros"
   (2018 )

Siete insoddisfatti dalla trash music che viene propinata dai talent e compagnia bella? Siete dei palati fini che ricercano una musica in grado di riportare le lancette degli orologi alle sonorità ben più articolate del Rock Progressive, ma senza per questo rispolverare i vostri vecchi vinili già sentiti e risentiti, non sapete nemmeno voi quante volte? Avete voglia di novità ma senza perdere il contatto con il cuore pulsante di uno stile che si è impresso nella vostra pelle come un tatuaggio? Ebbene, dalla Sardegna i Capside con "Tous Les Hèros" sono il gruppo che fa per voi. Esperienza pluriennale e numerose partecipazioni a festival hanno contribuito a compattare una band che ha saputo creare un marchio e lo ha impresso indelebilmente nel grande tomo della musica di un certo livello qualitativo. Valentina Casu alla voce, Manolo Ciuti al basso, Roberto Casada alla batteria, Martino Faedda alla chitarra e Giovanni Casada alle tastiere, in questo secondo lavoro modellano con estrema maestria, come si modella la creta, nove tracce che messe insieme compongono un opera d'arte di pregevole fattura. Inizio energico con l'opening e title track che, nei suoi oltre sei minuti e mezzo, fa subito intendere l'intero tenore del disco: brano strumentale che richiama il progressive dei tedeschi Ice e che non disdegna semplici virate roccheggianti. Atmosfera rarefatta e sognante ne "Il Mare Dei Messaggi", dove le chitarre sono fluttuanti come le onde del mare e come la voce di un canto di sirena, ammaliante e beffarda nel far sprofondare l'ascoltatore in abissi di sonorità inedite. L'alternanza tra momenti strumentali e sezioni cantate è un punto di forza a favore di un brano che non stanca a dispetto della durata. "La Casa E Il Ciliegio" apre alla nevrosi musicale e ad una voce che si adegua senza perdere il fascino della melodia, nonostante il temporale e rumori sinistri di urla, mentre "Jasmine" gioca con gli arpeggi della chitarra egregiamente sostenuti da basso, batteria e tastiere che fanno da sfondo alla sensualità del canto. "闇市" (il titolo lo lascio alla vostra libera interpretazione) è un pezzo strumentale che vira sapientemente sul jazz e sulla fusion, senza perdere la dimensione progressive, e apre alla seconda parte del disco con "Silenzio": ritmiche scomposte, tempi e controtempi giocano con un canto che non rispetta la metrica, e fanno sì che questo sia uno dei brani più interessanti dell'intero lavoro. "Uomini Della Città", con la sua vibrante potenza, dà conferma (semmai ce ne fosse bisogno) che "Tous Les Hèros" è un intreccio intrigante di sonorità mai passate di moda e accattivanti, che trovano in un estroso prog il loro punto di forza, mentre "Principessa Della Notte" riconduce alle danzanti ritmiche di balli cortigiani che portano diritto alla chiusura con "Tàtari Tzentrale". Brano, quest'ultimo, che rispolvera i fasti di un rock progressive fatto di tempi dilatati, sonorità estatiche alternate a nevrosi ritmiche che sconfinano nel jazz. Che dire di fronte ai Capside? Che il loro secondo album è il fiore all'occhiello di un genere musicale non di certo aperto alla fruizione di massa. Un lavoro frutto di una perfetta alchimia di gruppo in cui tutti gli elementi si combinano e si modellano per dare vita ad una vera e propria opera d'arte che non può lasciare indifferente l'ascoltatore. (Angelo Torre)