recensioni dischi
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SHERPA  "Tigris & Euphrates"
   (2018 )

Ipnotici dall’inizio alla fine, gli Sherpa propongono un rock psichedelico al quale non interessa raggiungere una saturazione estrema del suono, il classico “fortissimo” dopo un crescendo, optando invece per una costante reiterazione di ritmi lenti e un’intensità media. Giunti al loro secondo album, “Tigris & Euphrates” contiene sei brani, della lunghezza media di sette minuti, con caratteristiche pressoché uniformi. Batteria trascinata e soft, voce rara ed ariosa, pattern melodici di chitarra ripetuti fino al raggiungimento effettivo di un’ipnosi. Se avete fretta o non siete in giornata è meglio rimandare l’ascolto. Se invece potete fermarvi, e lasciarvi assorbire, il viaggio mentale è garantito. E senza mescalina, così finisce bene “nel ritorno” (semicit.); una cosa estremamente affascinante sono i riferimenti esoterici, massonici ed archetipici diffusi nei titoli. “Kim” sembra alludere all’omonimo romanzo picaresco di J.R. Kipling, ambientato in India al tempo delle colonizzazioni inglesi. “Creatures from Ur” si collega al titolo dell’album: Ur è un’antica città sumera, che si trovava vicino alla foce dei fiumi Tigri ed Eufrate, ora sede di un sito archeologico che ospita una ziqqurat di 21 metri. Se siete stati in erboristeria, avrete notato il nome “Equiseto”, titolo del terzo brano. Oltre a trattarsi di una pianta, l’equiseto è anche uno dei vegetali più antichi, esistente da 200 milioni di anni, e ci ricollega alle origini della Terra. Inoltre è collegata alla Luna, e all’alchimia. Forse non è un caso che per tale brano si sia scelto un tempo in 11/4. Si vola ancora più su con “Ascent to the Mother of Language”, dove si registra un discreto aumento del volume della band, con una parte centrale di chitarra distorta e un andamento che, da semplice ipnosi accecante, si trasforma in una cupa zona, una foresta oscura e minacciosa. Ma il massimo si raggiunge nel brano successivo, sia per impatto emotivo che per simbolismo. Uno spiffero sonoro permette di respirare, in mezzo a un arrangiamento costituito da soffocanti percussioni, e un’iniziale atmosfera opprimente in “Overwhelmed” (che per l’appunto significa, “sopraffatto, travolto”). La lentezza è estremizzata, non è una scelta rilassante, viene anzi fatta pesare all’ascoltatore, come nel doom. Questo almeno per i primi quattro minuti. Poi, una ritmica di chitarra finalmente ci prende per mano per portarci nella seconda parte, dove un sitar ci fa affrontare con sguardo più mistico quel che fino a un momento fa faceva paura, mentre la batteria tiene un tempo in tre che alleggerisce. Dal buio alla luce. Per poi ridiscendere nel pezzo finale, che in contrapposizione con la precedente “Ascent (…)” si chiama “Descent of Inanna to the Underworld”. Inanna è un’importante divinità sumera, legata all’erotismo. E il racconto della sua discesa nell’oltretomba, in cui diventa una vittima sacrificale, viene letto come un’allegoria del ciclo della vegetazione (e si collega quindi ad “Equiseto”). In conclusione, il viaggio proposto dagli Sherpa intorno alla Mesopotamia può assumere un significato psicanalitico, andando a scavare in quello che è l’inconscio collettivo, per trovare simboli che appartengono a tutti, e per questo misteriosamente familiari. E il rock psichedelico favorisce l’assorbimento, anche involontario, di tutti questi stimoli mitologici. (Gilberto Ongaro)