recensioni dischi
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TRITONICA  "Disforia"
   (2018 )

I Tritonica sono una delle più entusiasmanti scoperte della scena alternativa italiana. Il loro peculiare sound unisce sludge, grunge, stoner e prog metal. Dopo un Ep, il loro Lp “Disforia”, uscito per Dischi Bervisti, apre subito con un esaltante pezzo, “Al-Ghazali”, che comincia con un programmatico doppio feedback, di due note che formano un tritono, quella distanza tra due note chiamata diabolus in musica, per poi esplodere nella distorsione con un basso effettato, che ricorda quello di “The gush” dei Raging Speedhorn. La voce ripete due opposti: “Progresso regresso”, ma il pezzo ospita una parte centrale meno aggressiva, con cori psichedelici, uno special in 7/4 e un finale a sorpresa, che diventa uno swing lynchano. “Manjala” è più usuale, diciamo, col raggiungimento di un crescendo di urla disperate, e però un breakdown su tempi ancora dispari. “Zags in Bb” sono 53 secondi di graffi di sassofono, con loop di bassi hardcore, sempre estratti dal sax. Poi “Alchimia del fato” è un brano a suo modo esistenziale, con il basso che intesse melodie che si incrociano col riff di chitarra pulita. La voce canta, con molte pause ansiogene, sull’essere: “Tu non sai di essere (…) ti lascio la scia, la scia del mio essere”. A metà il pezzo si accende, per placarsi di nuovo e diventare un riff che si perde in sé. Ma le parole “il tempo non fila” anticipano il tema del brano successivo, “Cronotopica”, un 5/4 con echi dove compaiono parole chiave della teoria del multiverso, come “stringhe”. Il refrain ripete “Tornerò come ieri”, mentre la chiusa finale è una drammatica affermazione: “Non c’è più niente per me, né tempo né spazio”. Le ipotesi di tempo che si riavvolge, si modifica nelle dimensioni alternative e accelera attorno ai buchi neri, al posto del fascino lasciano spazio ad una visione più inquietante e nichilistica, per la propria “immagine membrana”. Dallo spaziotempo, per 58 secondi precipitiamo all’interno di una ferita corporea, con “Coagula”, costituita da sequenze dissonanti fra un suono metallico ed uno elastico. “Jimi” è un pezzo roteante ed intrippante: “Corro in tondo ma sprofondo, desiderio d’ascensione”, ma lo sconforto diventa letterario in “Semiramis”, dove una voce narrante recita due estratti del Canto V dell’Inferno di Dante, dove i dannati “bestemmian quivi la virtù divina”, e dove “nulla speranza li conforta mai”. Nel secondo passaggio si presenta l’imperatrice: “Ell’è Semiramìs (…)”. Nel pezzo successivo “Semiramide” arriva la risposta cantata della band: “Cosa ti rimane delle tue mura?”, e la melodia serpeggia tra semitoni su armonie diminuite e su un iniziale tempo in 5/8. Come “Al-Ghazali”, anche questo brano ha una struttura diversificata. C’è una parte centrale con arpeggi puliti di chitarra, ancora una volta su armonie diminuite: il disagio è insomma la cifra stilistica, e non ci si poteva aspettare altrimenti, da una band che si chiama Tritonica. Il finale esplosivo è imponente come lo spazio all’interno di un tempio babilonese. 48 secondi di disturbi liquidi in “Solve” creano l’attesa per il pezzo finale “Mimonesis”, uno strumentale che fa scendere negli abissi, nella rappresentazione sonora della disforia, il titolo dell’album. La disforia è il contrario dell’euforia. E’ un’agitazione che invece d’essere data da un guizzo di gioia, deriva dall’irritabilità e dal nervosismo di una condizione depressiva. Infatti, dopo un inizio violento, il brano rimane in un’intensità medio bassa, senza possibilità di ritorno alla potenza iniziale. Gli scarabocchi della copertina rendono visivamente questa situazione psicologica. C’è anche una ghost track alla fine, dove prevale uno spirito grunge novantiano. Nulla di nuovo, ma tanto di buono: i Tritonica hanno creato una ricetta trasversale che soddisfa diversi palati noir. (Gilberto Ongaro)