recensioni dischi
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HEATHER LEIGH  "Throne"
   (2018 )

L’immaginario di David Lynch ha forti influenze non solo nel cinema, ma anche in ambito musicale ed erotico. Una che può sembrare una sua figlia d’arte, in questo senso, è Heather Leigh. L’artista, che suona la steel guitar in una maniera tutta sua, trascina in un mondo fatto di conturbante sensualità e sessualità, sganciata dalla razionalità. E crea un ambiente sonoro avvolgente e notturno, con note cupe e riverberate. Dopo l’album “Ideologic Organ”, dove protagonista indiscussa è la voce vibrante di Leigh, per la Editions Mego esce “Throne”, dove con incedere lento e minaccioso, si dipanano sei nuovi viaggi. “Prelude to Goddess” nel testo già mostra segni di desiderio (“You’re so interesting”), con elementi eccentrici come i jeans leopardati; ma è in “Lena” che l’erotismo si rivela intenso e onirico, raccontando (se non ho frainteso) di un uomo nascosto nel garage di papà: “He was like wanna cookie”, che poi raggiunge l’agogonata “hottest sweetest pie”. L’elemento disturbante è il nominare continuamente la figura paterna: “The kind of girl that never forgets what your daddy did”. Voce e chitarra si inseguono all’unisono nel racconto tormentato e compiaciuto allo stesso tempo, sopra pulsazioni basse e pesanti che proseguono in “Scorpio & Androzani”. Si accende la distorsione della chitarra in “Soft Seasons”, che si allunga con il riverbero, inseguendo il copione del primo album, dove la chitarra ruggiva a metà scaletta. L’inciso suona malato. Poi, la traccia più lunga, quasi 17 minuti, rende la vastità del mare (“Dive in, into the sea”): è “Gold teeth”, dove la steel guitar fa il suo lavoro migliore. L’ultimo sogno si chiama “Days without you” e, seppur nella sua consistenza plumbea, suona come un lieto fine grazie ad una fuga: “Don’t need to pray for my future, my darling, this is a turntail”. Insomma, se vi piacciono le ambiguità amorali del film “Blue Velvet”, senz’altro apprezzerete questo tipo di musica e di visionarietà evocata. (Gilberto Ongaro)