recensioni dischi
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PHOENICIAN DRIVE  "Phoenician Drive"
   (2018 )

I Phoenician Drive sono una formazione multietnica, capitanata dal cuore pulsante del progetto, il percussionista cileno Diego Moscoso, che ha riunito musicisti reduci da esperienze parecchio diverse fra loro. L’obiettivo dichiarato era quello di recuperare il sound di band seminali come Neu!, Can e Faust, pionieri del krautrock, e di unire elementi etnici afro orientali come oud e derbuka, per creare una sorta di mistura fluida che qualcuno ha efficacemente definito “afrikraut”. Il loro omonimo album segue un EP di debutto, pubblicato nell’aprile dello scorso anno, e riflette tutte queste idee, traducendole in un sound incredibilmente compatto, autentico e coerente, che mantiene il tono muscolare del kraut, il suo afflato psichedelico e aggiunge atmosfere orientaleggianti che impreziosiscono ulteriormente la proposta. “Phoenician Drive” è inaugurato dall’incalzare di “Almadraba” e dal suo umore festaiolo, suggerito anche da un cantato ipercatchy, che spezza il ritmo delle cavalcate strumentali fra cui è schiacciato. Più scuro, ma ancor più acido, è il suono di “Paradise In My Veins”. Il viaggio lisergico prosegue con l’allucinata “Kraken Doesn’t Crack A Crocodile”, per altro scandita da percussioni martellanti e da una marcata componente etnica. I due brani successivi strizzano l’occhio rispettivamente al Medio Oriente (“Musselove”) e all’Africa sahariana (“Aguas Del Olvido”), mentre proseguendo si arriva alla deliziosa “Onouba Twist”, ideale colonna sonora di un rituale collettivo, immersa sempre in atmosfere psych. In chiusura, invece, “Bicky Beach” è la corsa a perdifiato che precede le elucubrazioni kosmische di “Slowfish”. I Phoenician Drive reggono l’urto sulla lunga distanza e vanno oltre, confezionando un gioiellino e continuando ad affascinare con un sound ricercato, destinato a raccogliere il consenso della stampa di settore e dei musicofili più incalliti. (Piergiuseppe Lippolis)