recensioni dischi
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TORIA  "Naked in a dress"
   (2019 )

Pervaso da una toccante sensibilità e da una fitta coltre di introverso intimismo, “Naked in a dress” segna il debutto per New Model Label del cremasco Marco Torriani, alle prese con una eccelsa declinazione - per voce, chitarra e molto altro – di istanze mutuate da vari ambiti legati al folk-rock, da quello classico e lineare di matrice statunitense alla più elaborata versione albionica, zona Roy Harper/Cat Stevens.

Contaminato da tentazioni e sonorità modernizzanti ad attualizzarne le forme, il suo è un approccio quasi romantico ad un crooning raccolto e confessionale, declinazione soffusa di una espressività contenuta entro i confini di una soave intensità.

Da un hortus conclusus impregnato sì di Kozelek e Nick Drake, ma privo di asperità, nevrosi o devianza alcuna, si leva soffuso un crooning essenziale, eppure venato di un languore che ne amplifica l’estrosità, come nel timido crescendo incupito per archi e percussioni à la Sam Beam dell’opener “In silence” o nella cangiante armonia in vago stile Wilco di “Trip to the moon”.

Tra brividi di composta psichedelia riveduta e integrata (“Me & mr. Me”, il finale di “Painless night”) ed ampi ritornelli che sorprendono per una morbida lievità intrisa di sfuggente mestizia (“Through the north”), si affacciano l’ombra lunga di Paul Simon nella sinuosa “Leather”, di Justin Vernon nella spoglia melodia di “Something good”, contrappuntata da un’armonica di scheletrica bellezza, o del nostro Gioele Valenti (Herself), specie negli episodi che maggiormente si crogiolano in una svenevole, rilassata indolenza (“Sweet lore”, “Uppercut”).

Ne scaturisce un album di esaltante semplicità costruito attorno allo sviluppo mai banale di un’idea profonda e radicata, un lavoro aggraziato che sa richiamare suggestioni ancestrali mantenendosi ben saldo nel solco di una tradizione mandata a memoria e rielaborata con passione e distintiva personalità. (Manuel Maverna)