recensioni dischi
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JESUS FRANCO & THE DROGAS  "No(w) future"
   (2019 )

Gli anni trascorsi non hanno mutato le coordinate di riferimento lungo le quali si snoda il progetto Jesus Franco & The Drogas, quartetto anconetano che molto apprezzammo al tempo del devastante “Alien Peyote”, sconvolto compendio di bluesaccio schizoide impaludato in un immaginario da hellzapoppin, trucido e visionario, qualcosa tra Captain Beefheart e i Karma To Burn, ma più cattivello ed intimamente violento.

Benchè sembri virare maggiormente verso lande stoner, “No(w) future” si aggrappa di nuovo a sonorità scarne ed essenziali, rese ancora più secche e taglienti dalla (confermata) assenza del basso: non più così maniacale, guadagna in compattezza e coesione. Sporco, ruvido, irriverente, suona compresso e feroce, senza concedere requie né un barlume di luce: meno istintivo, ma più centrato, insiste sulla definizione di un sound personale che lo rende – paradossalmente - più equilibrato.

“Acufene” apre con un movimento elettrico in crescendo su un tema ossessivo à la Loop, ripetuto fino allo stordimento tra ondate di fuzz e psichedelia balorda, col canto di Sonny Alabama (Andrea Refi) ridotto a poco più di un rigurgito gutturale condito da una sfilza di fuck sulle stilettate sgangherate delle chitarre; spasmi nevrotici à la Jon Spencer introducono e sorreggono “No talent show” in un oscuro e vorace gorgo post-tutto che raccoglie, assembla ed inghiotte detriti e clangori in un trionfo di devianza assortita.

Ovunque dilaga un’aura incupita e malevola, dall’esaltazione malaticcia di “Right or wrong”, scudisciata à la Ministry che lievita nel parossismo orgiastico di un boogie a rotta di collo, alla frenesia sfigurata e iperdistorta di “Some people”, r’n’r sbracato, sbrindellato, spolpato all’osso. E giù fino agli inferi di “Blast-o-rama”, con voce filtrata tra muraglie di feedback lancinante, preludio alle deraglianti scordature metalliche ed alle sguaiate urla belluine di “Brain cage”, sabba che va a parare ad un centimetro dal Reverendo.

La novelty sta tutta nei quasi dieci minuti della conclusiva “Wake up”, ove il rituale pagano si compie in forme inconsuete, sublimando la mascherata in un piccolo capolavoro di intensità strabordante: il ritmo si placa ed insegue un mid-tempo lineare, con la band a macinare indefessa un giro tanto incalzante e ripetitivo da sfiorare il mantra. Ricorda i Rolling Stones, almeno prima del collasso che la ingurgita nei due minuti conclusivi.

Questo è “No(w) future”: una storia ininterrotta, un viaggio nell’abisso, un tripudio di negatività.

Quindi bellissimo. (Manuel Maverna)