recensioni dischi
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TRIOMANZANA  "Nomads of rumba"
   (2019 )

I Triomanzana sono un trio che attinge dalla musica gitana, andalusa e messicana, per comporre brani dal ritmo coinvolgente e suonati con virtuosismo e passionalità. Nell’album “Nomads of rumba”, fanno assaporare la specificità della rumba spagnola, anche se mescolata con altre influenze. Ad esempio nell’omaggio al greco Markos Vamvakaris, interpretando la sua “Fragosyriani”, con la tipica struttura con accelerazione graduale (come nel più noto sirtaki “Danza di Zorba”). In Messico ci si arriva con “Havana”, vagamente malinconica nel suo essere di corsa, ma l’aspetto principale dei brani è di essere davvero travolgenti ed irresistibili. In “Body surfing” si sente l’enfasi nel modo di suonare, già nell’introduzione, ancora quando la ritmica non è ancora incalzata. E poi parte la classica sequenza andalusa di accordi, che ritorna nel brano dall’inequivocabile titolo “Spanish rumba”. I tre sono ben affiatati, si sente quando si stoppano tutti insieme. “Diablo rojo”, introdotta dai rapidissimi bonghi, porta a una danza vorticosa, mentre la più moderata ma sempre ballabile titletrack, si fa strada con assoli carichi di sentimento. (A fine LP c’è una versione radiofonica del pezzo, accompagnato da un minimale beat elettronico, per orientare le orecchie più pigre: in realtà non ce ne sarebbe alcun bisogno). Un leggero effetto wah modifica il suono in “Gipsy Caravan”, rendendo la carovana sonora delicatamente lisergica. Con “Vicking man” il trio ci concede di ascoltare un tema orecchiabile e cantabile, ma a metà pezzo si cambia dinamica, aumentando la forza accordale. La bravura di Alfredo Capozucca alla chitarra solista è indubbia, però l’anima della situazione è gestita dall’incalzante chitarra ritmica di Daniele Prolunghi. Che in “Hanuman” sembra iniziare quasi con intenzione rock, con dei riff particolarmente decisi; poi si vira nel flamenco che caratterizza i Triomanzana. Si sentono anche i musicisti urlare ed incitare il pubblico. L’intensità ritmica si può gustare pure al centro di “Somnium”. Qui affiora il passato di Prolunghi nell’heavy metal, che non stona affatto, anzi fortifica il coinvolgimento in acustico. Quindi, anche se sei un nerboruto camionista, non ti devi vergognare se improvvisamente ti senti Natalia Estrada e ti vien da ballare scalzo sul tavolo... (Gilberto Ongaro)