recensioni dischi
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NYLON  "Quasi fosse una tempesta"
   (2019 )

Vincitori del Rock Targato Italia 2018, i Nylon pubblicano il loro primo album “Quasi fosse una tempesta”. Il quintetto è composto da voce, chitarra acustica, basso, batteria e violoncello, e gravita intorno ad un folk rock che si tinge ora di tinte americane, ora dell’est europeo. L’introduzione western anticipa “Tre colpi”, agitato 6/8 che unisce ardenti parole a visioni pericolose. “Niente da aggiungere” è più allegra, porta un inciso melodico rasserenante del violoncello, e la melodia cantata ammicca più al pop, sempre con parole d’autore. “Indecente” introduce un arrangiamento saltellante, ed è un po’ il manifesto spirituale di quest’album, dove ci si compiace di una passionalità “sporca” (o presunta tale): “Esco dal coro delle voci qualunquiste di morali perbeniste, meste e nefaste (…) Sai l'euforia, il dolore di un amore, quando nasce quando muore, quando cede all'ardore, è divertente quello che chiami indecente (…) Io abbraccerei il mondo intero in un amplesso, per amore, non per sesso”. Una chitarra elettrica graffia dolcemente l’arrangiamento di “Irene”, dedicata ad una diciottenne che non vuole più sentirsi adolescente, e la consola nella sua frustrazione: “Il sapore della tua rabbia chiusa a chiave dentro una gabbia. Con il nero delle tue lacrime scriveremo poesie malinconiche, per poi leggerle solo di notte, quando il giorno pian piano si fotte”. Ancora passione e sensualità sbattuta in “Carne e febbre”: “Dal cortile l'emozione, e poi sulla soglia senza veli lei ammalata di vita, è carne e febbre lei (…) La tentazione che lavora, il desiderio che divora”. Nonostante la ridondante esigenza di sottolineare la propria libertà da un pesante moralismo (ancora così strano da trovare in giro), c’è cura nella ricerca lessicale, nel suono delle parole, nelle allitterazioni, nelle allegorie e nelle sinestesie. “Fotogenia” ne è un esempio: “Caleidoscopio ribelle (…) sul palcoscenico verde, ecco l’uomo che si accende e si spegne. Mondo chiuso in cantina, comunque messo in vetrina, sono i tuoi angeli obesi a sostenere i tuoi incubi appesi”. “La dama del fiume azzurro” è una dedica alla città dei Nylon, Pavia, con suggestioni lombarde e parole sempre calde: “Il tuo portamento regale irriverente, seguito ad ogni angolo dagli occhi della gente, rapita affascinata svanire nei vicoli (…) conosco la tua voce nelle risa dei monelli, si inseguono le rondini nei tuoi capelli (…) al dolce sciabordare cantato dal Naviglio (…) alla corte di un re longobardo”. Un lento shuffle in levare accompagna il blues ironico – malinconico “Guendaline”, dove il protagonista si ubriaca in mezzo al torrido clima di Barcellona. Per l’assolo, a sorpresa si accelerano i battiti, raggiungendo un veloce manouche. L’album viene chiuso dal racconto di un ex militare a un musicista di strada, intitolato “Le confessioni dell’Arcangelo Gabriele”. Questa è una valida prova da cantautore, una ballata in 6/8 caricata da un lungo testo, zeppo di parole con pregnanza semantica: “Scarna piuma di polvere, sento vibrar la tua voce questa notte atroce a schegge di vita per noi (…) ero uno scudo, un padre al contrario, un alchimista di umori, un monaco con un rosario a tamburo e preghiere col silenziatore (…) la mia gamba piange dolore, lei cadde in silenzio quasi a chiedere scusa (…) questa canzone è uno scrigno di note e tu sarai il mio gioiello”. Una chiusura pregiata, per un album finemente levigato. (Gilberto Ongaro)