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ROSARIO DI ROSA & BASIC PHONETICS  "Crossroad blues"
   (2019 )

“Crossroad blues” è il nuovo sorprendente album di Rosario Di Rosa, assieme ai Basic Phonetics che sono composti da Alberto N.A. Turra alle chitarre, Sarah Stride alla voce e all’elettronica live, Carlo Nicita al flauto ottavino e al flauto basso, e Davide Bussoleni alla batteria. Quello che accade nelle tracce di “Crossroad blues” è un inafferrabile viaggio tra elettronica e jazz, con un approccio sperimentale che porta a soluzioni spesso angoscianti ma avvincenti. “Hum” è musica interrogativa: lo scherzo iniziale di una voce ascendente e un acuto vengono fermati da un graffio di chitarra elettrica. Poi parte una programmazione tonante e subdola, come un motore annacquato, sul quale il sibilo del violino titilla le orecchie. Il pianoforte interviene con dissonanze, poi con arpeggi dubbiosi. Anche i titoli dei brani sembrano essere essi stessi sperimentali, e a volte slegati dalla musica. In “Symptom Checklist 90 Revised”, un inciso sembra fare “ordine”, per quanto si possa parlare di ordine; diciamo che c’è un punto di riferimento, attraverso il quale almeno seguire un filo. C’è una fase molto hard in questo pezzo, quasi rock. “Action speaking” è foriero di suoni deformi e lugubri loop vocali. La voce tornerà spesso a trovarci nel disco. “Beck Depression Inventory” marca il lato jazz dei musicisti, si improvvisa tanto e si diverte Carlo all’ottavino. La voce di Sarah si mantiene sospirata e bassa, valorizzando le vibrazioni gravi. Ma tutto finisce con un martellante assolo di batteria, che gioca tra i fusti naturali e l’elettronica. Un ostinato di tre note, suonato dal pianoforte e rincorso dal flauto, caratterizza l’inizio di “Cope Inventory”. Le note reiterate variano nel tempo, fino a sfociare in cluster di pianoforte ed intromissioni ritmiche della chitarra. In mezzo al caos, Rosario si diverte ad inserire al pianoforte un assolo blues classico, quello che ribatte sulle settime minori. In “Un cielo pieno di nuvole”, unico pezzo dal titolo in italiano, Sarah canta le parole confuse e sommesse del testo: “Non so, non penso sia facile comprendere, comprendermi”. Il pianoforte disegna sequenze di note, partendo da una dissonanza di due semitoni suonati insieme. L’effetto è di uno spavento vivace anche se cupo, come cupo è l’unisono fra voce e piano in “Karnofsky Performance Status”. Turra gioca con la distorsione della chitarra, con il suo segnale, per ottenere precise scelte timbriche. Tra inserti elettronici spaziali e indugi sulle note gravi del piano, il massimo dell’oscurità viene raggiunto. In “Action Speaking #2” il pianoforte si moltiplica, fra i suoi echi, creando un mare di note brillanti, unificate da pad ariosi, ma sempre convulsi. Infine torna l’elettronica ostile in “Post traumatic Grow Index_Dusk”, assieme alla chitarra deformata di Turra, che sembra imitare le programmazioni, con le mani sullo strumento. L’ottavino insiste nel suonare note lunghe assieme ai synth, creando uno straniamento completo all’ascoltatore. L’andamento qui sembra finalmente concederci qualcosa di armonico, dopo un disco di improvvisazioni a volte quasi contrappuntistiche. Indescrivibile, astratto, surreale. (Gilberto Ongaro)