recensioni dischi
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MIMI' STERRANTINO E MARCO CORRAO  "Liggenni"
   (2019 )

Il duo messinese Mimì Sterrantino e Marco Corrao si cimenta nel racconto in chiave blues di leggende legate alla propria terra, e lo fa scavando nell’anima profonda delle zone limitrofe di Messina, con strumenti tipici della tradizione siciliana e in quella lingua tanto affascinante quanto ricca di storia che è il dialetto. Otto racconti leggendari, frutto di un’eredità non solo scritta ma soprattutto orale, che si tramanda di padre in figlio, da nonno e nipote, e che si sposa con la musica d’autore: una proposta suonata con strumenti tipici del folclore ma che si discosta dagli stili tradizionali e si veste di modernità attraverso l’uso delle chitarre acustiche, del banjo e di strumenti a fiato. Il risultato è un disco crocevia tra il passato narrato e il presente da vivere: crocevia un po' come è Messina e la sua provincia, che si trova bagnata dal Tirreno e dallo Ionio. L’apertura è affidata alla regalità di “A Principissa” (La Principessa), ragazza chiamata Sicilia, affidata alle onde del mare all’età di 15 anni dal padre per salvarla da una maledizione lanciata dal mostro Greco-Levante. Giunta su un’isola quasi deserta, conosce un ragazzo di cui si innamora e insieme ripopolano quella terra dandole il nome di Sicilia. I fiati stabiliscono la solennità del canto mentre chitarre e banjo, accompagnati da percussioni quasi marziali, fanno da sfondo al racconto epico. In “Mori Senza Cruci” (Morire Senza Una Croce) si parla dell’antico rituale pagano (ma non troppo) dell’uccisione del maiale: ritmiche moderne fanno da sottofondo all’interrogatorio che la vittima, nella consapevolezza della sua tragica fine, rivolge al suo carnefice nell’adempiere ai suoi rituali religiosi. Percussioni e chitarra acustica aprono la via al racconto di “Schiavi Del Sirina”: sonorità country introducono il canto in italiano, narrando di ragazzi ammaliati dalle sirene presenti nel fiume Sirina che non faranno mai più il ritorno alle proprie case. Voce inquietante e sonorità nevrotiche sono al centro di “Rusulè”, la macabra leggenda di Rosalia, una vecchietta di Naso (piccolo paese nella parte Tirrenica della provincia di Messina), che tutte le notti andava in giro per i boschi, vestita di stracci, e che armata di falce uccideva qualsiasi forma di vita incrociasse il proprio cammino. Le razzie compiute dagli arabi, durante la loro dominazione, hanno spinto gli abitanti di Monte Scuderi (nella zona Jonica della provincia di Messina) a nascondere i loro averi, i loro tesori (“A Truvatura”) nelle campagne limitrofe. Per ritrovare il tesoro non era necessario solamente scavare ma anche affidarsi alla superstizione dei rituali esoterici. “A Rutta Du Diavulu” (La Grotta Del Diavolo) è la leggenda di un mostro che viveva in una grotta situata nel Parco Dei Nebrodi, il quale usciva di notte per rapire donne e bambini e portarli nel regno di satana. Ancora oggi, questa storia viene raccontata ai bambini per non farli allontanare da casa nelle ore notturne, e il modo in cui viene cantata assume i tratti di una platealità che funge da monito verso coloro che pensano di avventurarsi nei pressi di quel luogo. Piccola nota di carattere personale (essendo il sottoscritto originario di un paesino del messinese lungo la costa tirrenica): il modo in cui viene cantato il brano mi ricorda i “Banniaturi”, ossia i venditori ambulanti che giravano lungo le vie del paese, e mentre guidavano la loro “Lapitta” (L’Ape 50) snocciolavano a voce alta tutta la mercanzia che vendevano (“Calia”, “Nuciddina”, “Piscispada”, “Nciova”, “Racina” e quant’altro). Chiusa la parentesi dei ricordi personali, il disco prosegue il proprio iter leggendario affidandosi al penultimo racconto: “I Lupinari” (I Lupi Mannari). Tra scorribande e omicidi misteriosi si narra la storia di creature strane che nelle notti di luna piena si trasformano in porci seminando il terrore tra gli abitanti del paese. Per riportarli alle sembianze umane occorre pungerli con un bastone di castagno. La chiusura di “Liggenni” è affidata al bel racconto di “Lu Jancu Lifanti” (L’Elefante Bianco) che riportava a casa i bambini rapiti o dispersi. La delicatezza e la poesia di questa folk ballad chiude un lavoro che rappresenta un tesoro prezioso in quella che è la narrazione di leggende legate alla tradizione popolare. Un disco del genere è un modo per tradurre in musica dei racconti che fanno parte della storia di una regione e che ne configurano in un certo senso l’identità e il senso di appartenenza. La Sicilia è una terra ricca di tradizioni dal valore inestimabile: tradizioni che variano da paese a paese e da provincia a provincia, e che hanno un fascino particolare. Chi ha avuto la fortuna di sentire i racconti, stando seduto al fianco dei propri nonni o di persone anziane, con i loro ricordi, le loro esperienze, potrà capire ed emozionarsi ancor di più ascoltando le leggende cantate da Mimì Sterrantino e Marco Corrao. (Angelo Torre)