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I FEEL LIKE A BOMBED CATHEDRAL  "Rec.Requiem"
   (2019 )

You know the stars in the night/they’re like holes in the cave/like the ceiling of a bombed-out church, recita un verso di quella “Wicked gravity” di Jim Carroll amata da Mimì Clementi a tal punto da costruirci attorno una canzone-sulla-canzone (“Inverno ‘85”): tutto quello che avrei voluto era essere lui nell’attimo in cui canta: “Mi sento come il soffitto di una chiesa bombardata”.

Non so come si sia sentito il mai-abbastanza-lodato Amaury Cambuzat - artista francese onusto di una trentina d’anni di oscura gloria, in larga parte ascrivibile alla bella favola Ulan Bator - al varo del side-project I Feel Like A Bombed Cathedral, ma nelle quattro tracce che compongono “Rec.Requiem”, esordio per la fiorentina Dio Drone, va in scena un’inquietudine che lambisce l’ipnosi, avvolta da una cortina di elettricità dilatata ed impalpabile.

Quattro lunghe tracce strumentali per sola chitarra elettrica ed effetti interamente eseguite da Amaury in presa diretta presso il suo studio di registrazione segnano il perimetro di un lavoro che per tre dei quattro episodi può (abbastanza) comodamente rientrare nel campo della drone music: esperienza a suo modo psichedelica, suggestiva, evocativa alla maniera dei Sunn O))), in attesa del seguito previsto per fine maggio su Dirter Promotions, “Rec.Requiem” pone la basi di un discorso più articolato sfiorando la catarsi grazie ad un linguaggio sonoro minimalista che sonda il concetto di ripetizione.

Cupi rintocchi, echi e rimbombi oscillano tra sinistri presagi ed una generale mestizia di fondo esplorando accordi da prospettive sempre lievemente differenti, un approccio cubista à la Band Of Susans che valica i confini del post-rock per abbracciare divagazioni ambientali (il finale di “Def”) e derive rumoriste (la tesissima, spettrale “Esh”). Il battito percussivo di “Req” mi ricorda l’incedere monocorde dei Bachi Da Pietra mentre marca una buia ossessione trafitta da disturbi di fondo.

E’ soltanto nei quasi nove minuti della conclusiva “Rev” – ad un passo dai Talk Talk dell’ultima grandeur - che l’album trova quiete, scivolando su poche note rarefatte: quelle che accompagnano una sofisticata musica per idee attraverso i tremanti arabeschi di un epilogo inaspettatamente tenue e raccolto.

Lavoro complesso, che accumula energia anziché rilasciarla: da godere in blocco, con la giusta predisposizione e la dovuta apertura mentale. (Manuel Maverna)