recensioni dischi
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LE CONFRERIE DE VIC  "Une italienne à Paris"
   (2019 )

Sara Cigognani è cantante e fondatrice del progetto Le Confrèrie de Vic, nato nel 2014 e formato da lei a voce e chitarra, Djiko Perez alla chitarra, Claire Gillet al contrabbasso e al piano, e Nicolas Derolin a percussioni e batteria. Ora è uscito il primo album “Une italienne à Paris”, che porta con sé il vissuto italo-francese di Sara. Italo-francesi sono anche i testi, che si alternano fra le due lingue, mentre lo stile musicale è prettamente d’oltralpe, un pop alternativo in certi casi un po’ jazzato. La titletrack, infatti, apre il disco con uno swing d’avanspettacolo, ma poi con il singolo “Tout est partout pareil”, ecco una chitarra in levare, tratto ricorrente in queste canzoni serene e frizzanti. E tra le parole emerge anche il pensiero della cantante che, come recita il titolo, dice che è tutto uguale dappertutto, un po’ tutto il mondo è paese. E allora con “Les insoumis”, cioè “i disobbedienti”, ad accompagnare Sara arrivano due rapper, uno francese e uno spagnolo. La poesia “Lentamente muore” di Martha Medeiros, così rilanciata e diffusa nei social, viene parafrasata e diviene canzone con questa confraternita, che ne fa sua la filosofia: “Lentamente muore chi non capovolge il tavolo, per inseguire i sogni del suo cuore”. Si resta ancora nel poetico, con “Le poète de la rose”, brano rapido ma delicatissimo, che si ritrova poi in versione italiana fra le bonus track, rivelando una sensibilità infantile: “Sono il poeta della rosa, e della pioggia maestosa, sono una tenera albicocca, come una mela sono tonda”. Il levare della chitarra ci trasporta nel racconto di “Bluebell”, una delle canzoni più memorabili del disco. Parla di un uccellino volato alla finestra, che diventa d’ispirazione: “Però senza un soldo, con un soffitto di carta scritto, ma noi ci amavamo, e tu inventavi come farmi ridere, e anche se fragili, non lasciavamo i nostri sogni battere contro i vetri, li lasciavamo uscire”. C’è cura nello stimolare i sensi: “Nella nostra mansarda c'era un profumo d'arancia, e durante la bella stagione ci addormentavamo ai caldi raggi del sole”. Un po’ di malinconia si cela tra le note di “Pour toi”, per una presenza mancante e desiderata: “Arriverai come una schiarita, un giorno qualunque senza preavviso, o forse non sarai mai del mio ieri, o forse non sarai mai del mio domani”. I seguenti tre brani si tingono d’africano, grazie ad un arrangiamento percussivo di xilofono, vibrafono e mbira (o kalimba). “Espiritu malo” mescola ritmi latini, “Chiudi gli occhi” resta comunque su binari europei. L’esempio più pertinente di black music ce l’abbiamo con “Ubuntu”, che presenta un riff di chitarra con quel tipico suono caldo. Qui si manifesta il profondo concetto del legame “Ubuntu”, che connette tutti gli umani in un’unica entità sensibile: “Io sono, se noi siamo”. Si torna al pop con “E se domani”, che non è una cover ma una canzone omonima diversa. Il disco si chiude com’è iniziato, con lo swing, stavolta di “La vie est belle”, dove si sente il banjo, accennano forse al dixieland. Subito dopo troviamo lo stesso brano come bonus track in italiano, dove si può sintetizzare in una frase il bisogno di mutuo aiuto che fa emergere il legame Ubuntu nelle difficoltà: “Il meglio di noi lo doniamo quando siamo nella merde”. Così ci saluta Le Confrèrie de Vic, un quartetto leggero ma raffinato. (Gilberto Ongaro)