recensioni dischi
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SPY # ROW  "Blood brothers"
   (2019 )

Arriva dalla Germania il giovane trio dei Spy # Row che, nonostante la giovane età (poco più che 21enni), sono on the road da parecchi anni, ed il concentrato d’esperienza maturato è ben implementato dell’opera d’esordio “Blood Brothers”: 11 brani con tratte ruvide ma sempre forieri di una ricerca melodica mai fine a sé stessa ma innestata, all’occorrenza, con centrati dosaggi. Si presentano maestosamente con la titletrack, dalle ampie falde heavy contenitive di chitarre scontrose dal tocco pesante, mentre “I ain’t falling” mostra la sua efficacia su riff lenti e grintosi ma sempre pronti a provvidenziali accelerazioni. La graffiante voce roca del frontman Sam Jager (una “g” in più nel cognome sarebbe stato uno scherzo del destino!) è ancora in bella evidenza nella magnetica “Follow your dreams”, che sa martellare con cura nei passaggi taglienti. Ci si chiede: ma di ballads neanche a parlarne? E come no!? Ecco che “If you say you love me” e “My chance” fanno al caso nostro e ci tolgono la curiosità di testare la capacità di Sam nel sapersi districare pure in àmbiti raccolti, col risultato che passa brillantemente anche l’esame placido. Tra le eccellenze formulative dei Spy # Row spicca il connubio tra grinta e melodia, espresso con edulcorata rabbia, senza eccessi, ma col giusto vibrato emozionale, e “Nowhere to run” è pronto a rappresentarlo con infallibile determinazione. “You’re not alone” è una mitragliata di chitarre stoppate e ruggenti che porta i glutei a staccarsi dalla sedia per cominciare a pogare a perdifiato. La traccia spacca cuori è, guarda caso, “Heartbreaker”, non certo per un prevedibile romanticismo ma per l’intensa scossa nervosa che sa infliggere tra ronzii di guitar e cascate corali. L’intro ferale di “We not go quitly” ti porterebbe a pensare che i tre ragazzi vogliano giocarsi il sigillo dell’album senza nerbo, ma niente di più sbagliato: ortiche sonore sempre pronte a ricrescere nel vivaio del combo, annaffiate da gran tecnicismo e mestiere. Insomma, lo scacchiere di “Blood brothers” muove 11 pedine tra heavy, hard e groovy-rock perpetuando promettenti infiltrazioni di Bon Jovi, Guns e Metallica, ma cesellate con l’entusiasmo necessario per consegnare al mercato un debutto più che decoroso. (Max Casali)