recensioni dischi
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LEON SETI  "Cobalt"
   (2019 )

Leon Seti è Leo Baldi, ventitreenne aretino che nel 2015 ha avviato il suo progetto solista firmando per una piccola etichetta universitaria, e che ha esordito con l’EP “Talking shadows” nel 2016. Il primo lavoro sulla lunga distanza (“Genuflection”) è arrivato pochi mesi più tardi, nel 2017, e a esso ha fatto seguito questo “Cobalt”, pubblicato lo scorso marzo. Il concetto alla base di “Cobalt” è quello della fine di una lunga relazione, della solitudine, dello smarrimento e, anche per questo, fra le maglie delle dieci canzoni è immediatamente percepibile un tono vagamente malinconico. Il genere di riferimento resta un synth pop piuttosto liquido, ma anche molto educato, contraddistinto da suoni profondi, leggermente ovattati e freddi (non è un caso che il titolo dell’album faccia riferimento ad una tonalità del blu): sono questi i tratti comuni a tutti i dieci pezzi di “Cobalt”, ma i brani sono eterogenei, mai troppo simili fra loro, e i quaranta minuti scorrono rapidamente. Notevole l’interpretazione vocale dell’artista aretino, il cui timbro risulta perfettamente riconoscibile e integrato alla perfezione con questo tipo di sonorità, come testimonia “South”. Molto solidi anche i primi due brani scritti per questo nuovo disco, “Everything I had” e “Paranoia”: la prima forte di un tono drammatico, la seconda più squisitamente pop, ma sono forse “Internectar” e “Stripper” i vertici di un disco che, comunque, non presenta punti deboli. “Cobalt” è un lavoro ben fatto, potenzialmente fruibile da una buona fetta di pubblico, in Italia e non solo. (Piergiuseppe Lippolis)