recensioni dischi
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ALCHEMY  "Dyadic"
   (2019 )

Sono tornati i lombardi Alchemy, a sei anni dall’omonimo album di debutto, con “Dyadic”, lavoro decisamente più curato in termini di suono e pulizia. I più importanti passi avanti, rispetto al passato, si fanno registrare proprio a livello di produzione, di cui si è occupato per lungo tempo Pierpaolo “Zorro” Monti, ma prezioso è stato anche il contributo offerto da Davide “Dave Rox” Barbieri e Stefano Zeni. L’impostazione, comunque, resta pressoché la stessa di “Alchemy”: un hard rock tirato, che durante i ritornelli concede deroghe alla melodia, ma che si struttura anche grazie a una voce grintosa e ad assoli sparsi qua e là. I brani, undici più una versione acustica di “Goodbye”, conservano grossomodo tutti il medesimo approccio: oltre a pezzi orientati verso l’hard più classico, come “Cursed”, il primo singolo estratto “Endless quest”, o ancora “Prisoner”, molto efficaci sono gli intarsi pianistici, sia quando intervengono a disegnare un sound più raffinato (“One step away”), sia quando invece scandiscono i tempi di una ballad (“What it takes” o “Goodbye”), ma è “Lost in the dark” a svettare sul lotto dei brani, forte della sua atmosfera vagamente gotica. “Dyadic” è un buon lavoro che mette in luce la grande tecnica del quintetto e, come accennato prima, un lavoro di produzione maniacale, pur correndo il rischio, a tratti, di suonare un po’ ridondante. (Piergiuseppe Lippolis)