recensioni dischi
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TRUPA TRUPA  "Of the sun"
   (2019 )

Rispetto al complesso e sfaccettato “Jolly new songs”, che un paio d’anni orsono non mancò di sorprendere grazie ad una miscela esplosiva ed autorevole di post-post-punk ed estrosità avanguardistica, il terzo album “Of the sun”, in uscita per la Glitterbeat Records, restituisce del quartetto polacco Trupa Trupa una nuova e più centrata versione.

In generale, l’aura art-rock che permeava i due precedenti lavori - non senza ostentata e compiaciuta affettazione - cede oggi il passo ad una declinazione più edulcorata e penetrabile del verbo, adottando un linguaggio che riguadagna accessibilità laddove “Jolly new songs” la negava.

Si tratti di un passo avanti, indietro o di lato, poco importa, l’intento art si riaffaccia prepotente solo a sprazzi: nell’ingorgo caotico e congesto di “Long time ago”, nell’insistito ricorso a testi smozzicati di poche frasi ripetute come in un mantra, oltre che nel generale intento di realizzare pezzi così fascinosamente inconcludenti.

“Dream about” apre con una classica ritmica post-punk (ammesso che esista una classica ritmica post-punk), sputando un collage di parole sul suo substrato zoppicante; “Mangle” la segue ad un piglio da Ought, da Shellac, da June of ’44 o da quello che ci volete sentire, ma inscena qualcosa di diverso: Grzegorz Kwiatkowski canta quasi urlando, altro che timbro algido e freddezza impersonale.

E questo fa la differenza, eccome: la musica è svuotata, il canto sovraccarico.

Su un improvvisato, immaginario rollercoaster più concettuale che esplicito si alternano il basso pulsante di “Another day” e la nenia stralunata di “Angle”, la psichedelia retrò di “Longing” e la velocizzazione sghemba à la Sonic Youth di “Remainder”, senza che – almeno in apparenza – accada assolutamente nulla di eclatante.

Neppure nella caracollante atmosfera à la Pixies di “Anyhow”, nell’accelerazione sguaiata – sorta di punkettaccio slabbrato e nevrotico – di “Turn”, o nell’improbabile crossover distopico tra Robert Wyatt e John Grant della prodigiosa title-track, che arranca su desolate figure di pianoforte tra sussurri, disarmonie, disturbi, dando forma ad una agonizzante contorsione neocameristica.

Nulla.

Tanto che non desta sorpresa o stupore nemmeno il capolavoro finale, i quasi sette minuti di una “Satellite” che dispiega la sua cantilena in crescendo monocorde su un rallentamento pinkfloydiano, infilandosi proprio nel vicolo cieco che aspettavi.

E’ una musica che mi ricorda un po’ la slackness sbilenca – ma ragionata – dei Bodega, la versione 2.0 dei Pavement aggiornata ai tempi che corrono. Una ricetta a base di brani che rinunciano allo sviluppo, senza approdare a granché, solo di rado rilasciando tensione, mai accumulandone. Alla maniera degli Slint, nei Trupa Trupa – che rimangono discretamente geniali, va precisato - tutto implode, né può essere altrimenti.

Inspiegabilmente, non riesci a farne a meno. (Manuel Maverna)