recensioni dischi
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REMO SEELAND  "Hollow body"
   (2019 )

“Hollow body”, uscito per Hallow Ground, è il primo album pubblicato dal musicista e compositore svizzero Remo Seeland con il suo nome di battesimo. Ispirato dalle ricerche condotte dall’artista nel campo scienze culturali, in particolare di quelle del sud est asiatico, il disco è pensato come incontro tra modern classical e field recordings, in cui Seeland racconta, per mezzo della musica, le sensazioni provate durante alcune esperienze tra New York, Reykjavik e Zurigo (come lui stesso ha confessato), ovvero i luoghi nei quali ha registrato l’album: in particolare, quella “totale” della claustrofobica metropolitana nella Grande Mela, melting pot di voci, colori e odori, e quella della vista di un paesaggio affascinante ma, al contrario, statico come quello islandese. A farla da padrona, sono lunghi bordoni di discreta lunghezza: si apre con i quattro minuti abbondanti di “Body innovation”, rarefatta ed estremamente lineare, si prosegue con l’atmosfera suggestiva della titletrack, il passaggio più ispirato dell’album, grazie anche ai delicati intarsi chitarristici di Reinier Van Houdt. “Second coming” introduce i fiati e suggerisce l’immagine di un’osservazione distaccata, ma attenta, mentre è più inquieto l’incedere di “Pulse points green”. “Woosh before laya” scivola ancora più leggera, recuperando l’instancabile linearità dell’opener, mentre nella conclusiva “Night within”, crepuscolare e severa, è l’organo a ritagliarsi un ruolo centrale. Si esaurisce così un album ricercato ed estremamente personale, imprescindibile senza il suo concept, e che per tale ragione può non essere realmente compreso di primo acchito. (Piergiuseppe Lippolis)