recensioni dischi
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L'AVVERSARIO  "Sangue, sangue"
   (2019 )

Non è che ci sia bisogno di chissà quanta fioritura musicale per allestire un progetto che possa lasciare il segno o, quantomeno, dar adito ad analisi sorprendenti. Per quello de L’Avversario (che fa capo al polistrumentista Andrea Manenti) basta l’essiccatura dei suoni per determinare un forte impatto emotivo: quel farci calare in arie tenebrose per rilevare paure, dubbi, incubi e, soprattutto, l’inutilità degli esseri umani, protesa perennemente ad ambizioni vacue e d’immagine, piuttosto che puntare alla concretezza dei valori su cui edificare un minimo di spiritualità salvifica. I cinque brani di “Sangue, sangue” non vanno mai al di sotto dei cinque minuti (e con picchi da dieci), a testimonianza di quanto Andrea ci voglia coinvolgere a lungo, nella consapevolezza esistenziale, per farci toccare con mano (e orecchie) un abisso sospensivo. L’incubo comincia con la title-track che veleggia con stesura dolcemente martellante, avvinghiando i lobi in labirintiche suggestioni, come pure “Cranio”, ma dilatando maggiormente il calvario in essere, a mo' di via crucis, che l’uomo si ritaglia attorno a sé finchè avrà mire egoistiche e distruttive. E’ sorprendente come l’assenza di sovra incisioni possa aver attribuito al fiume esecutivo dell’opera tanto pathos emotivo: eppure è cosi. Non sfugge alla concettualità primaria di ossessività e ripetitività neanche “La città sta male”: anzi, va oltre… l’aggiunta di frequenti rintocchi pianistici jazzy ne aumenta il carisma ideativo, complice anche l’autotune vocale che Manenti concepisce per strizzare la componente umana, in un processo di spersonalizzazione e, nel caso che qualcuno possa esimersi dall’essere avvolto da “La nebbia” esistenziale, qui la ritrova a pieno titolo in una traccia che anela risvolti angoscianti e salvezze chimeriche. Mestizia e rassegnazione sono i totem dolenti che campeggiano in “Non voglio più niente”, in una sorta di afflizione totale permeata da sound scheletrico ed agonizzante. Somatizzare, a primo ascolto, ogni nota, ogni piccolo fraseggio, ogni strale messaggistico dell’album è un miraggio a cielo aperto: ecco perché “Sangue, sangue” non si addice a fruitori frettolosi, però attenzione! Chi (a priori) fuggirà dalla sua mirabile verità, perderà l’ennesima occasione di mancare l’appuntamento con la rinascita di sé. (Max Casali)