recensioni dischi
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NONNON   "L'inganno di un mondo ideale"
   (2019 )

C’è un bel lavoro di composizione ed una particolare cura negli arrangiamenti dei brani di “L’inganno di un mondo ideale” dei Nonnon, band lombarda attiva nel panorama indipendente dal 2006. E’ tutto molto variegato e teso ad esaltare sonorità per lo più solari, aperte, dai ritmi sostenuti e regolari. E’ per questo che sarebbe stata opportuna una diversa lavorazione in fase di post-produzione, finalizzata ad esaltare di più i toni bassi delle registrazioni, o comunque meglio equalizzare sonorità già di per sé pulite ma cangianti. A parte qualche discreta incursione nello ska o nel folk, si tratta sostanzialmente di pop-rock. Più pop che rock, poiché la fiamma che accende l’ispirazione è certamente ascrivibile a contesti sanremesi piuttosto che woodstockiani. Non c’è qualcosa di veramente originale, ma ciò che viene proposto in quest’album è di buona qualità. Interessante, ad esempio, l’idea di iniziare un concept col recitato introduttivo di “Preludio all’inganno”. Un preambolo per liriche che trattano di giovani uomini alle prese con le insidie e le dinamiche tipiche della loro età (“Ricciolo”), con le sfide, le disillusioni e le inquietudini degli addii (“Choryphanta” e “Riflessi”). “Questo bel viaggio” è una pausa di riflessione in una storia e la voce parlante è quella più sofferente. Melodicamente degno di nota il tema principale del brano, con quel briciolo di malinconia/amarezza che rende molto al contesto. Poi le sfuriate rockeggianti di “Nea” coi suoni distorti, così, alla rinfusa, sembrano ricordare alcuni passaggi di “Pablo Honey” dei primi Radiohead. Mentre la dolcezza di “Nina” celebra la straordinarietà di una persona che parte per il viaggio eterno; e rimane l’ascoltatore con il tenero ma tremendo interrogativo “cosa mai saremmo stati tutti se non fossi stata tu”. Inoltre la scelta di una ritmica serrata per un piano forte elettrico in “Fine Condanna”, col successivo passaggio di staffetta alla parte di chitarra con effetto tremolo, riportano i suoni alle immagini e sembrano giocare a rincorrersi, intervallati da pit-stop di parti riflessive e da un epilogo country. Tutti a celebrare le gesta del personaggio letterario Fermin Romero Torres, dell’autore spagnolo Carlos Ruiz Zafòn. “Novantanove” invece è un brano a cui alla purezza dei suoni, si contrappone una scelta un po' scontata delle melodie. Come non nuova nei contenuti musicali e lirici, di questi tempi (anche se la storia risulta datata), è anche “Abdouka”; ritratto musicale di un migrante africano che affronta la disperazione di un viaggio della speranza. “Le buone maniere”, oltre a trattare di ingiustizie sociali ed arroganze del potere quali presupposti per la rivolta popolare, vanta di una interessante parte cantata, non sforzata e custode di una qualche forma di esemplare saggezza, per la quale se non alzo “tutte quante le dita possibili è perché le ho impegnate a suonare e a scrivere”. Concetto da assurgere a vero slogan di vita. Infine la title track “L’inganno di un mondo ideale”, che abbozza inizialmente una linea vocale alla Battiato di ''Patriots'', tratta di un ipotetico mondo ideale, dove tutto è al suo posto e dove tutto va a gonfie vele. Forse anche troppo, facendosi poi prendere dall’entusiasmo e rischiando di cadere in sonorità alla Lunapop. Insomma, complessivamente l’album dei Nonnon, al di là della non-novità dei contenuti, è un coacervo di sonorità, entusiaste, tipiche di chi si esalta con la musica e non ha la musica come principale mezzo di sostentamento. E proprio per questo riesce ad essere esageratamente autentico, genuino. Ed è un bel messaggio, per lo più apprezzabile e degno di menzione, anche per chi alcuni ascolti musicali li predilige un po’ meno. (Vito Pagliarulo)