recensioni dischi
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FRANCESCO MASCIO & ALBERTO LA NEVE  "I thàlassa mas"
   (2020 )

C’è la musica da viaggio, quella che sali in auto e che, vuoi per andare a lavoro o verso qualche meta vacanziera, viene con te, accompagna il tuo peregrinare, quella che canti in autostrada, amplificata dall’orizzonte che condividi con chi ti farà compagnia, fosse anche semplicemente dormendoti accanto.
Ma c’è anche la musica per far viaggiare la mente.
Quella che basta stendersi sul divano di casa per ritrovarsi a immaginare qualche luogo distante, magari su una barca che ondeggia dolcemente in mezzo al Mediterraneo, quando basta girare lo sguardo per lambire le coste della Libia, quelle siciliane o della Grecia, accarezzati dal Libeccio.
Questo disco splendido appartiene alla seconda categoria.
L’opera cova in sé una potenza evocativa tale da non far sentire la mancanza delle parole, riuscendo a mettere l’ascoltatore nella predisposizione mentale ideale per poter riempire da sé gli spazi che il duo (chitarra e sax) dissemina tra un’ideale tela e l’altra, suggestioni supportate da una tecnica sopraffina, in grado di tessere trame complesse, elegantissime, colorate, ritmicamente varie, inusuali, audaci.
Gli strumenti, coadiuvati in tre occasioni toccanti da voci maschili e femminili, raccontano di terre esotiche, di spezie, di danze, di seduzione. Pelle d’oca e lacrime.
Un disco per lo più strumentale con questa forza espressiva tradisce necessariamente delle esperienze molto forti.
Viene facile credere che gli autori abbiano lasciato il cuore, le mani e gli occhi in giro per il mondo, in cambio di ricordi struggenti, dei semi in grado di far germogliare grazie alla fusione di jazz e world music un’antologia di arazzi che stordisce per bellezza e creatività.
Ogni ascolto appare nuovo ed è con la meraviglia del bambino che mi accorgo del rapporto causa-effetto dietro alle sensazioni che mi procura, bastano pochi istanti e mi ritrovo ancora e ancora trasportato, perso con la mente in un flusso libero, proprio del vento caldo che spira da sud-ovest.
Sono disturbato in questo incanto da un paio di tracce, “I Thàlassa Mas” e soprattutto da “Vento da est” e i suoi 9/8.
Due momenti dove viene sottolineata pervicacemente quella componente improvvisativa generata attorno ad una piccola cellula musicale, un temino ripetuto allo sfinimento su cui si sprecano assoli, certamente virtuosi ma che francamente non raccontano nulla. Esercizi di stile che per quanto ben eseguiti, all’interno di un contesto assai più elevato finiscono col sembrare dei banali riempitivi.
Sicuramente divertenti se proposti dal vivo, qui infastidiscono togliendo magia all’ascolto che scorre idealmente dall’inizio alla fine. Esiste il tasto skip, certo, ma avrei preferito non doverlo usare e continuare a ondeggiare sulla mia barca a vela immaginaria.
Non so se il paradiso esista, ma se ci fosse e avessi la fortuna di finirci, mi garberebbe trovarci qualche duna, la sabbia per potermici stendere, il caldo dell’estate, un’oasi a due passi e la filodiffusione. Alla radio I Thàlassa Mas godrebbe di alta rotazione. Ci mancherebbe altro! (Alessio Montagna)