recensioni dischi
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VvvV  "The wreck"
   (2020 )

In tema di scenari pop dance, industrial, new age, shoegaze, kraut e dub, e quando si è nella necessità di acquisire suoni alla Depeche Mode o Babylon Zoo, il duo francese dal nome non facilmente pronunciabile, VvvV, non manca l’occasione e ci mette il proprio contributo. Rifacendosi schiettamente a certe tematiche, aggiungendo poche variabili allo standard. Il sound del VvvV è una buona miscela elettro in salsa synth-wave. E’ musica trattata con sintetizzatori analogici, collegati direttamente a potenti amplificatori, dai quali escono sonorità che creano ambientazioni spaziali. “The wreck” è la seconda release del duo, autoprodotta ed autoregistrata con metodi propri. I componenti tengono a precisare che, nonostante il loro genere possa conferire un certo senso di smarrimento, nello spazio profondo, il progetto musicale può in ogni modo celebrare, con suoni personalizzati, la fine dei tempi o il raggiungimento di qualsiasi tipo di futuro prossimo. Concetto, sì, un po' astruso ed ermetico. Tuttavia si rileva che la particolarità di questo album consiste nel fatto di coniugare tematiche spaziali, futuristiche, sulla base di una produzione tipica di suoni spesso associabili all’elettro pop dei tempi passati. Quindi, complessivamente, è questa continua associazione di passato/futuro - futuro/passato che rende il tutto più curioso ed intrigante. Ed ecco imbattersi in “Mirrors”, con la sua base ritmica e col suo ritornello canzonante che sembrano, appunto, uscire direttamente da una programmazione radiofonica anni ’80 del secolo scorso, dopo A-ha, Kraftwerk o Talk Talk. Poi “The wreck”, che invece pare preparare il terreno a quello che verrà dopo. In un contesto che, seppur ancora pop-peggiante nei ritornelli, ha un’interessante base sulla normale parte cantata. Sono però i successivi brani “Paradise”, insieme a “Wonderland” e “Unslaved”, a rappresentare le proposte più interessanti della produzione. Hanno tutti una struttura incalzante ed apocalittica, con la voce che ripete un certo fraseggio vocale proveniente da qualche parte nello spazio. Sembra, al contempo, siano passati da una porta temporale e spediti da qualche epoca ai nostri giorni, dal passato. Per poi approdare ai toni incastonati di “Resonances”, a formare un tappeto sonoro che sembra si muova sotto un cantato a tonalità non alta, ma che diventa greve quando il suddetto tappeto diventa più dinamico, più louding. Restituendo all’orecchio l’effetto sintetizzatori appropriato. Dal lento e pesante “Angels” si salta poi al finale di “Sparkling neons”, che sembra promettere molto, all’inizio, ma raggiunge poche vette emozionali alla fine. “The wreck” è dunque un album particolare, non per tutti gli amanti della musica elettronica. E’ sicuramente per appassionati alle sonorità synth. Per appassionati alla produzione pop dance/industrial. Per quelli che confondono passato e presente e, accorgendosi di ciò, pensano che, in fondo, fanno bene. (Vito Pagliarulo)