recensioni dischi
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MONÊTRE  "Monêtre"
   (2020 )

Tra affascinanti arpeggi di chitarre elettriche, polarizzanti vocalizzi naturali, nel panorama musicale underground italiano spunta una band ligure che, tra La Spezia e New York, produce musica per corrispondenza. Tra una jam e l’altra, il loro modus operandi prevede la composizione e la condivisione dei lavori on line. Tra la band, in Liguria, e la cantante Federica Tassano, in U.S.A. E con questa doppia identità l’album di esordio dei Monêtre, dall’omonimo titolo, propone una miscellanea sonora collocabile tra l’alt-rock e l’indie pop, quello in voga tra gli anni ‘90 del secolo scorso ed i primi anni 2000. Con punte brit-pop. E’ un suono pulito, elettrico, arpeggiato ma pulito. Che tenta di riprodurre autenticamente in registrazione tutto ciò che si riesce ad eseguire nelle sessioni live. Prima peculiarità di questo sound sono le ambientazioni melodiche, arpeggiate in chitarra elettrica priva di effetti. Tutto legato ad un equilibrio sottile e non distorto. L’altro aspetto rilevante è la voce della lead singer Federica Tassano, al contempo aspra ma non acerba, tagliente ma non violenta, dolce ma non stucchevole, con pochi toni medi ma non atonale. Un misto tra Leigh Bingham Nash dei Sixpence None The Richer, Kristín Anna Valtýsdóttir ai tempi dei Mùm, e Dolores O’ Riordan dei Cranberries. E’ una vocalità che meglio si esprime nei brani più interessanti: “B” e “So Done”. Ben congegnati anche in modalità arpeggio aperto. Necessario per questo genere, al fine di conferire libertà ad un ascolto consapevole, non distratto. Non necessariamente radiofonico, poiché troppo veloce e superficiale, troppo liquido. Con “Valerio” invece si pensa di associare la musica, con una interessante ritmica sostenuta e leggera, ad un videoclip un tantino enigmatico. Mentre con “On a boat” pare volersi emulare, in arpeggi di presunte diesis-settime-eccedenti e vocalizzi non sforzati, la quiete dell’essere immoti, durante una navigazione in acque calme. Col ritornello che ricorda sonoramente l’immensità di un oceano che si apre a dismisura. Similari ambientazioni anche in “We were roses” e “Carol”. In “Edna” accade il piccolo imprevisto della distorsione (leggera) alle chitarre, ma poi l’andamento del brano tranquillizza l’ascoltatore e riprende un cammino nuovamente rilassato. Con “Blinding White” c’è una battuta di arresto e tutto diventa un po' più riflessivo, contrassegnando il resto con un crescendo armonico che si porta fino alla fine. E poi “The Red Ballon”, con tutta la sua intensità del momento, in tutta la sua magia di reverberi. E’ il brano che meglio di tutti poteva assolvere alla funzione che in effetti assolve: terminare l’album e lascare una certa velata malinconia nell’ascoltatore. Il lavoro discografico dei Monêtre è complessivamente denso di contenuti nostalgici, riflessivi, anche energici e drammatici. Tutti però contrassegnati da una certa staticità armonica che rende il tutto così rasserenante. Così rassicurante, circa il fatto che nella sequenza dei brani nulla di male potrà accadere. Senza particolari punte emotive ma senza brutte sorprese. E una volta andati via viene da pensare che, in fondo, in quel luogo armonico si può sempre ritornare. (Vito Pagliarulo)