recensioni dischi
   torna all'elenco


THE LOVECAT  "Under dark clouds "
   (2020 )

Strambo, stralunato e versatile: così potrebbe essere definito l’ottimo Under Dark Clouds di The Lovecat, un cantante e bassista che vive nell’oscurità e che aveva già firmato, con altro nome, tre album “domestici” solisti tra 2007 e 2009. Ritorna, con un nuovo moniker, un’esperienza maggiore e una direzione musicale molto più innovativa, con un altro album domestico che incarna la stranezza e la versatilità del personaggio, diamante grezzo che sa proporre pezzi massimalisti e curati e pezzi volutamente claustrofobici e quasi in forma di demo. Il progetto, registrato a novembre, era nei cassetti da anni, e consta di un dark-pop fine ‘80s malinconico e grave.

The Lovecat non lascia nulla al caso. È questa la prima tessera, grande e centrale, di un puzzle difficile e ostico, che forse manca di alcune caselle. Stonature volute, arrangiamenti stranissimi che sembrano cozzare con la tipologia di canzone, di testo e di musica, un andare trasandato e selvaggio che però conquista, incuriosisce e colpisce. Certo, alcuni possono storcere il naso e pure ragionevolmente, ma per l’attitudine magnetica e forte con la quale incide, interpreta e scrive The Lovecat merita di essere preso sul serio e di essere analizzato. Così, il dark-pop stile Cure di “Forced to Leave” è una sommessa preghiera a una persona che si ama e che si deve lasciare, dove il cantato scomposto rappresenta la foga e la disperazione, la nebbiosa atmosfera di “Cathedral o’ Hope” sembra la colonna sonora perfetta per un racconto di Poe e “Invisible”, nel suo incedere dolce di synth molto ben calibrati, è l’incapacità di comprendere il mondo e di essere accettati da esso.

Le pennellate di suoni, di synth e strumenti sembrano quasi voler nascondere una voce che va fuori tonalità per rappresentare questa sua inconciliabilità col reale. Come in molti dipinti degli impressionisti, il soggetto è sfumato in un pugno di colori e di onde, perde i contorni e le forme, tutto si mescola insieme. Di questo approccio intrigante, “Sunset Regrets” e “Lightful Eyes” sono gli episodi più convincenti, ma anche l’ottima “Bewitched”, più cupa e graffiante, funziona e impressiona. “Contrasts” e “Dreams Die at Dawn” sono strane e assumono una circolarità interessante, mentre “Immortal Beauty” abbraccia il pop più radioso e da hit.

Senza paura di impressionare chi ascolta, senza paura che qualcuno possa storcere il naso, The Lovecat impacchetta un prodotto ben fatto, un po’ sperimentale e un po’ – forse – provocante anche solo per il gusto di esserlo, sempre con cognizione di causa e con brani potenti. Per questo, nei quasi quaranta minuti del disco, non ci si può annoiare, e per questo, forse, il brano conclusivo, “25 Years Later (God, How I Desire You)” sembra una perfetta sintesi di tutto ciò che si era ascoltato nei brani precedenti, le tastiere che sembrano raggiungere il cielo, la voce stranissima e sofferente, l’atmosfera che sembra un po’ scherzosa e un po’ seria, un po’ serata tra amici e un po’ preghiera. In questo senso, Under Dark Clouds ci convince. (Samuele Conficoni)