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MICHELE PIANO  "Nïnde"
   (2020 )

“Nïnde” è un mondo disabitato e vuoto in cui non è consentito a nessun essere umano di potervi accedere. Probabilmente in passato è già stato reso inabitabile da qualcuno. E’ “una terra statica dove è ancora presente l'eco di quei suoni che rivivono attraverso una successione continua e invariabile di eventi”. E’ l’album di esordio del compositore/pianista Michele Piano ed è inclusivo di sei brani, il cui suono scava nell’animo dell’ascoltatore. Nell’inconscio. Nell’essere che riflette, valuta, compara, pensa. Ciò avviene a cagione di un ambient minimale dalle sonorità ampie, che cerca e trova l’armonia e si colloca nella forma corale. Vi è l’apporto tecnico di elementi armonici primordiali, a loro volta frutto di un’attenta analisi del contrappunto. Oltre all’utilizzo parsimonioso del loop, che sta a disegnare, coi suoni, il cerchio in cui il suono fondamentale si propaga; e sta lì a rappresentare lo stato primitivo della natura uniforme e trasparente. Concetti alquanto complessi ma fondati e fascinosi, alla base di un album autoprodotto. E’ lo stesso autore, pugliese con base a Milano, a precisare che le sue influenze hanno sede nelle produzioni musicali di Brian Eno, Philip Glass, Steve Reich e Hammock. Ed effettivamente qui si discute di un sound velato e penetrante. Sinuoso. In movimento su frequenze utili alla meditazione. Tutti concetti bene introdotti ed affrontati da “Nïnde” pt. 1 e 2. Ove la particolarità emozionale alberga nelle note di un pianoforte, lievemente suonate ed affidate a lunghi reverberi piacevolmente ridondanti, ad evocare pensieri di evidente profondità. Considerata la natura altrimenti ermetica delle composizioni, trattasi di pensieri personalizzabili in base all’entità, all’essenza dell’ascoltatore. “Fuci copi” è invece una composizione che pare un inno alla leggerezza. Sembra fatta apposta per alleviare la mente da una dura giornata. E l’intento viene meglio concretizzato ed adattato dalla successiva “Mitta”, che è uno dei brani più rappresentativi dell’album. Un brano composto ed arrangiato in modo da dare l’impressione che si autocostruisca gradualmente, che si autogeneri lentamente in una sfera di suono. Una sfera che s’ingrandisce sempre più, come un sole che sorge, fino a sopraffare chi l’osserva. Grazie alla lente ideale del suono. “Vileno (Rural live)” è l’altra composizione che rappresenta l’album al meglio. E lo scenario è naturale; con le cicale in sottofondo e con un campionamento elettronico che scandisce e mantiene una qualche forma di ritmo, lieve, sotto un manto di sonorità ad avvolgere l’intero flusso. Per finire con l’oceano sonoro di oltre nove minuti di “Oro 12 + Palmegane reca (Bonus Track)”. Una composizione-estensione di vedute immense, oltre il mare. E chi pratica la meditazione potrebbe pensare di averla in sottofondo mentre esplora le potenzialità del viaggiare senza muoversi. Questo è “Nïnde”. Composizioni dirette ad ascolti visionari, immaginari, meditativi, riflessivi. Un po' anche tipico del genere ambient, che, in questo contesto va oltre e si supera, incontrandosi con la minimal e l’elettronica. Va oltre e si supera e si incontra con chi sa riconoscere. (Vito Pagliarulo)