recensioni dischi
   torna all'elenco


PHILIPPE PETIT  "Do humans dream of electronic ships"
   (2020 )

Le sperimentazioni electro del musicista francese Philippe Petit in questo disco (appena uscito per Opa Loka Records), ad altro non sono ispirate che alla sonorizzazione dell’incubo "Blade Runner: Do Androids Dream Of Electric Sheep" di Philip K. Dick. La fantascientifica estetica sonora, il suono a cui associare immagini ed il puro approccio futuristico sono gli espedienti per far sì che - viaggiando sulle trame di questi suoni sintetici, catturati e messi in quarantena permanente per l’ascoltatore, in questo doppio album - si possa percepire tutta la electro-poetica coi suoi alieni elementi. Captati dall’esterno, quasi a vedere una realtà parallela da un oblò, di nascosto. E’ l’esigenza del musicista e dello sperimentatore electro di proiettare, a suo modo, nell’immaginario dell’ascoltatore, storie su possibili futuri, sullo spazio profondo e sull’ignoto, circa pianeti proibiti. E lo fa tramite l’adozione di una nuova tecnica di music production capace di consentire l’altrimenti impossibile ottenimento di certi risultati, adattandosi alla determinazione etica di non produrre mai lo stesso album. L’obiettivo precipuo è quello di raggiungere un universo sonoro nuovo, con l’apertura di nuove porte di percezione, con la giusta tecnologia che consenta di creare trame e astrazioni elettroniche, suoni sintetici, oggetti sonori, tutti organizzati con strumenti vintage come i vari Buchla Easel «The Electric Music Box», Moog Model 15, Minimoog Model D, Expander RSF vintage Kobol, Arp 2600, Synclavier. Sostanzialmente non abbiamo delle vere e proprie melodie strumentali né (tantomeno) partiture cantate. Non abbiamo un’elettronica dub, dance o minimale con beat (ritmico) a supporto degli spippolamenti elettronici. Non abbiamo solo un’elettronica destinata ad un pubblico di folti musicologi nerd che si affiatano e si dibattono e si spingono per capire di cosa si tratta. Qui è pura sperimentazione. Associazioni di suoni come milioni di pixel su hard disk. E le varie combinazioni creano scenari sintetici, futuristici, enigmatici o ermetici. Alcuni potrebbero chiamarlo semplice rumore. Tuttavia è un rumore particolare, che incuriosisce. Che fa rimanere quantomeno titubanti circa le motivazioni che abbiano indotto il compositore a crearlo. Il primo album è composto da cinque tracce che figurano il percorso di un viaggio. Un tragitto sonoro (“The journey”, “Landing – immersion”, “Encounters of the 6th kind…”, “A night with three moons” e “Return to tomorrow...is this the end”) che approda verso un infinito non decifrabile. Verrebbe da dire ignoto spazio profondo. Un enigmatico tragitto fatto di suoni, campionamenti, sintetizzatori e sonorizzazioni che potrebbero andare bene per qualche soundtrack per un film privo di dialoghi. Dove tutti gli scenari potrebbero essere esplicati con la semplice associazione alle immagini in movimento dei suddetti suoni. Stesso discorso vale per il secondo album, che è un bonus album, composto da due tracce (“Laika in space” e “Why do birds?!”), tra l’altro, eseguite live col sistema modulare Buchla Easel «The Electric Music Box». E’ dunque questo un discorso sonoro che parla un linguaggio alieno, talmente futuristico da risultare astruso. E’ un linguaggio di cui solo chi è disposto a scorgere la quarta dimensione della propria conoscenza è destinato sommariamente a percepire. E’ in ogni modo interessante comprendere l’idea alla base, laddove la fantascienza e la sua ricerca sono utili a tentare la risoluzione dell'inspiegabile, in un immaginario proiettato dalla mente umana in possibili futuri. E viene il dubbio se questi non siano assaggi di sonorità provenienti a noi proprio dal futuro. (Vito Pagliarulo)