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TŌRU  "Domani"
   (2020 )

Qualche anno fa mi ritrovai tra le mani un cd dei “Fiori di Hiroshima”, il direttore di una radio toscana per cui lavoravo me lo aveva messo sulla scrivania accompagnato da un bigliettino: “Ascoltali… meritano!”.

Ovviamente ascoltai il cd, un progetto colmo di influenze rock psichedelico ed elettronico che meritava decisamente un attento ascolto e un “passaggio radiofonico”, ma rimasi colpito da una traccia il cui titolo era “Il Mare”, che dipingeva un mondo alla deriva la cui unica salvezza era rifugiarsi in una personale apnea, ossia rinchiudersi in sé stessi per sottrarci da ciò che ci assilla e ci perseguita.

A distanza di anni sono cambiate le sonorità, è cambiato il nome del progetto musicale, Tōru (un chiaro riferimento al romanzo di Haruki Murakami “Norwegian Wood”), ma di certo Elia Vitarelli, a suo tempo leader proprio dei Fiori di Hiroshima, non ha cambiato la profondità dei propri testi, stavolta avvolti da suoni più cantautoriali che spaziano tra chitarra e pianoforte, con raffinati inserti di elettronica, ma che, come ai tempi dei Fiori di Hiroshima, mantiene quello stile e quella forma-canzone comunicativa e concettuale, che ancora una volta inducono l’ascoltatore a profonde ed intime riflessioni.

Questo preambolo era doveroso per introdurre “Domani”, disco d’esordio di Elia Vitarelli in veste da solista, un disco composto da dieci brani che ripartono da quell’invito alla solitudine de “Il Mare”, ma che narrando di una giornata, poi non tanto immaginaria, riflettono i pensieri di Elia sul passato e sul presente, gettando uno sguardo di speranza al “Domani”.

Chitarra e palpiti elettronici si fondono fin da subito in “Soli”, brano che apre il disco, primo singolo estratto e, forse, canzone manifesto dell’intero progetto, canzone in cui l’artista toscano riflette sulla sua solitudine che non rende liberi (“…tu spiegami cos’è, tu spiegami chi è che ci fa sentire soli e non più liberi”) e canta di quella solitudine che si prova quando ci sentiamo incompresi e che spesso ci accomuna, rendendoci soli e vulnerabili, ma che paradossalmente ci fare sentire “forti insieme” (“…se adesso tu mi guardi e mi ripeti forte che resisti insieme a me…”).

E l’invito a resistere viene ripreso, quasi in maniera ipnotico, in “Rimini”, un brano che è una richiesta di amore, dal lento incedere iniziale, che poi però si apre in una esplosione elettronica, per lasciare successivamente il passo ai tasti di un pianoforte in “Lady Paranoia”, un brano che scorre su una sottile linea di ironia tipica del maestro Battiato, da cui l’artista toscano sembra ispirarsi sia nelle melodie che nell’interpretazione, sicuramente uno dei brani più leggeri dell’intero LP, ma che ho apprezzato per le sperimentazioni sonore e per il sovrapporsi di immagini confusionarie, che ben rendono l’idea di ciò che regna nella mente di ognuno di noi quando siamo prigionieri dei nostri “pensieri paranoici”.

Ma le paranoie svaniscono presto, così come le sonorità sperimentali del maestro Battiato, perché in “A Testa Bassa” Elia ritorna sui binari dell’indie pop cantautorale, ma non abbandonando di certo la voglia di sorprendere e sperimentare; infatti, nonostante il brano sia musicalmente leggero, ho trovato davvero delicato e semplicemente “bello” l’arrangiamento d’archi che pervade l’intera traccia, un arrangiamento che ben si fonde con il sapore nostalgico del testo (“…adesso domani è come ieri, con gli stessi tuoi pensieri”).

In “La Stanza”, l’atmosfera torna a distendersi e a dilatarsi, l’elettronica ritorna protagonista in una traccia in cui sentimenti come l’amore e la speranza tendono ad amplificarsi e a trasportarci in un’altra vita e in un altro mondo (“…portami lontano, fammi scomparire, in questa stanza tra queste mura senza aver più niente da dire…/ ho bisogno di ricordare che c’è alternativa alla morte…”), facendoci riflettere sulla superficialità e sulla banalità del società attuale e proponendo come unico antidoto… la voglia di innamorarsi.

Ma poi cos’è l’amore se non un invito alla verità e al mostrarsi per quello che si è? Tutto questo è chiaramente espresso in “Rebus”, un brano molto interessante registrato sulla base di suoni e rumori della vita di ogni giorno (come il trillo di un cellulare), tanto da renderlo quasi un’esecuzione “live”, ma ancor più interessante è la forma-canzone, che viene proposta come una chiara voglia di raccontarsi da parte di Tōru, senza veli e maschere, nell’apparente intento di chiudere scusa e giustificare, forse, gli errori commessi nel passato.

Sembra questo essere l’atto conclusivo di un percorso introspettivo, le cui parole, emozioni e pensieri vengono poi liberate nell’aria assumendo le sembianze di un “Aquilone”, uno dei brani più riusciti dell’intero album, dove l’inserimento dei fiati riescono a dare un “liberatorio” tocco di malinconia che verrà trasportato lontano dal “Vento” accompagnato da archi, fiati, e un finale colmo di puro pop-rock e una dolce citazione di “Lullaby” dei Cure.

E, a proposito di citazioni, nella penultima traccia appare chiaro fin dal titolo, “Nello Spazio”, l’omaggio dell’artista toscano a David Bowie, omaggio che si concretizza con le prime note del brano, che per sonorità ed interpretazione ci riporta nell’atmosfera cosmica di “Space Oddity” del Duca Bianco.

All’inizio di questa recensione, avevo definito “Domani” come una giornata immaginaria, e come ogni giorno che si rispetti arriva la sua fine, arriva la sua alba che fa svanire le paure con la sua luce e con la voce di Elia nella sua ninna nanna acustica, che chiude questo intimo progetto musicale con un nuovo messaggio di speranza… “Ogni fine è sempre un inizio e domani toccherà a te…/ il cielo grigio tornerà blu”.

Atmosfere semiacustiche, delicate, malinconiche, nostalgiche e romantiche, ma soprattutto tanta introspezione: sono queste le caratteristiche salienti di un ottimo lavoro, molto curato e dal respiro cantautoriale, ma il fulcro di tutto il progetto musicale sono le tematiche profonde, non facili da trattare, ma che Elia riesce a rendere fluide e leggere, grazie allo squisito senso compositivo e all’elegante utilizzo delle parole.

Seguite un consiglio: “Ascoltatelo… perché merita!!”. Voto 8- (Peppe Saverino)