recensioni dischi
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JUNGLELYD  "Junglelyd"
   (2020 )

Dopo quattro ep pubblicati tra il 2015 ed il 2017, il quintetto danese Junglelyd, originario di Aarhus, mette in fila nel debutto lungo per Sounds of Subterrania undici godibilissime tracce all’insegna di una declinazione frizzante e contemporanea di quella electro cumbia che di questi tempi funziona benone a qualsiasi latitudine.

Divertente, stralunato e vagamente dissennato, l’album – in larga parte strumentale – gioca sull’aspetto ritmico imbastendo un festoso pastiche tropical/latin virato-jazz, forte di una strumentazione inusuale che assembla sax, flauto, percussioni, basso, chitarra e dj-programming in un connubio capace di fondere con nonchalance la dimensione analogica e quella digitale.

Percorsi da una fluida, inarrestabile energia, quaranta minuti di tribalismo sudamericano - edulcorato ed ingentilito – spingono incessanti un’immediatezza che invoglia all’ascolto e invita al movimento.

“Lucerito de la manana” è resa suadente dalla voce di Luna Ersahin; “Juego chicha” ricama un paio di minuti di irresistibile frenesia; “Chacruna” si fa largo sulla scia di una frase di chitarra che digrada in atmosfere mediorientali; “Secreto de la noche”, slegata dal quadro generale, è affidata a Julian Maraboto, che porge con garbo un singalong da spiaggia, qualche spanna sotto la prossima “Despacito”.

E se “Asolear” è una piccola delizia, con un flauto andino che ha perfino il sapore meticcio del Manu Chao meno populista, “Tattoo”, memore dei primi Sons Of Kemet, è forse il vertice del disco con il pulsare rotondo del basso contrappuntato dalla linea insinuante ed incalzante del sax.

I brani finiscono spesso sfumati, quasi fossero accenni inconclusi mandati avanti sulla base di un pattern ritmico, di un tema, di un groove affidato al basso: somigliano a basi che potrebbero essere stirate per altri dieci minuti ciascuna o troncate dopo un minuto, senza che l’impressione generale cambi.

L’effetto complessivo è piacevole, un’ottima distrazione per tutte le stagioni. (Manuel Maverna)