recensioni dischi
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COMA BERENICES  "Archetype"
   (2020 )

Musica ispirata da una costellazione visibile nelle notti primaverili, attraverso la purezza dell’atmosfera. Il mito greco narra si trovi ivi dal giorno in cui la regina Berenice fece voto solenne di consacrare ad Afrodite la sua splendente chioma. Un progetto musicale promettente. E questo album, dopo un EP di esordio, viene introdotto come un traguardo essenziale che trae ispirazione dal concetto di archetipo. Una forma primitiva ed originale, un modello che, attraverso la musica, sostanzialmente trascende le sensibilità e gli impulsi percepibili dall’inconscio. La musica è la lente tramite la quale analizzare e valorizzare la molteplicità delle diverse sfumature, nella contemporaneità, in una cornice universale priva di barriere. Concetto, lì per lì, appena sfuggente, che gioca con le parole e rende poco il senso. Ma immergendosi nelle sonorità si comprende. C’è una forte componente ambient in tutte le composizioni. Con l’aggiunta di interessanti elaborazioni per chitarra acustica ed efficienti abbellimenti per clarinetto. Anche le parti di batteria sono lievi, utili al contesto, adatte a sostenere l’impianto melodico. “Archè” si dice sia una melodia tendente all’eternità, che parte dal nulla e torna al nulla, per poi rinascere silenziosamente, per non svegliare chi sta sognando. È una delicata melodia in 3/4 che evoca ed echeggia nella mente certi panorami con praterie infinite. Una certa naturalezza che si trova anche nelle ambientazioni di musica celtica moderna (Clannad, Enya, Loreena McKennitt). “Keep your feet on the stars - pt. 1 e pt. 2” è una duplice composizione di interessante ampiezza musicale. Nelle intenzioni originarie degli autori si tratta dell’ascolto di “una nave nel cielo” con “i suoni nel mattino e la luce del giorno negli occhi”. Valida enfasi per descrivere, non necessariamente con un filo logico, ciò che ispira la ricerca di una melodia. Come il mancare “la terra sotto ai passi” e il disperdere l’immagine “negli specchi della casa”, per poi immaginare “le chitarre come una bora nei temporali in cui le nuvole piangono di gioia”. Ma è con “Silent days” che si evidenzia un suggestivo suono di chitarra acustica dall’arpeggio guidante. Un sound che induce, con metodi convincenti, a richiamare in mente la purezza, naturale, incontaminata. “À l’improviste”, dall’arpeggio iniziale appena evocante lo stile compositivo di Pat Metheny in solitaria, su chitarra acustica, è una “canzone-rifugio” che si ispira alla bellezza delle passeggiate in scogliera, verificando di non aver lasciato tracce durante il percorso. Infine “Riyad”, dall’andamento lieve, è un messaggio musicale che celebra l’inesprimibile vastità di sensi che proprio un messaggio può avere. L’indecifrabilità di richiami provenienti da volti “nascosti fra le mani” poiché dissolti. Concetti spesso non facilmente comprensibili, solo a leggerli. Ma in una dimensione musicale/letteraria assumono tratti significativi e facilmente interpretabili, ognuno secondo il suo modo di vedere le cose. E la musica cos’è, se non l’assimilare un’esperienza altrui per farla propria, secondo il proprio modo di vedere la realtà? Tutto ciò che è in cerca di un senso lo acquisisce sì rapidamente. Come se tutto fosse preordinato. Magia della purezza. Magia della musica. (Vito Pagliarulo)