recensioni dischi
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ALBERTO RADIUS  "Radius"
   (1972 )

(Scheda estratta dal libro ''I 100 Migliori dischi del Progressive Italiano'', Tsunami Edizioni 2014/2017, per gentile concessione dell'autore: Mox Cristadoro)

Il ricordo che, nel ’77, una canzone dirompente come ‘Nel Ghetto’ imperversasse nelle radio e dagli altoparlanti dei juke box siti nei bar di periferia o dei luoghi di villeggiatura, riaffiora con piacevole nostalgia. Alcuni impararono così a conoscere e apprezzare Alberto Radius: la sua voce, il suo modo di scrivere musica e i testi caustici e densi di rime pungenti, del grande paroliere Oscar Avogadro (RIP). Così, da ''Carta Straccia'', proseguì l’incalzante entusiasmo per il successivo, immenso, ''America Goodbye'' e per il precedente ''Che Cosa Sei'', e i suoi pomposi arrangiamenti ad archi, che rendevano molto bene l’idea di musica leggera italiana dei seventies. Finché un pomeriggio estivo di metà anni ’80, a casa di un amico nato parecchi anni prima di me, sfogliando la sua infinitesimale collezione incrociai la copertina del LP ''Radius'' e ne rimasi quasi scioccato. Quell’oggetto già trasudava il fascino delizioso della rarità collezionistica, dai contenuti superlativi. Eruption! Qualche anno prima di Eddie Van Halen e del suo principale ispiratore Ronnie Montrose, viene sperimentata la grande effettistica per chitarra poi sfruttata in ambiti metal, per quanto i primi passi particolarmente significativi risiedano ancora in Hendrix e Jeff Beck. Radius pubblica questo primo lavoro interamente a suo nome quando è già un veterano della sei corde elettrica. E si sente! Probabilmente in tutta la sua carriera, intesa come solista, non oserà più trasformare tanto il suono dello strumento come in questa serie di liberatorie esecuzioni, ove risplende la sua grinta. L’album è, sostanzialmente, la messa a punto di una serie di incontri fra i musicisti top del giro lombardo (anche se alcuni immigrati da altri luoghi, a partire dallo stesso Radius) che si divertono a esprimere il loro talento col piacere della condivisione, confezionando brani e canzoni memorabili, in cui Radius è solo il collante, il direttore d’orchestra, anzi, più propriamente, il primo violino. Le partiture eterogenee fanno di quest’operazione un disco essenziale, che quasi prescinde dalle partecipazioni illustri di cui può ancor oggi vantarsi. Entrano in gioco quindi i futuri membri di Area, e naturalmente intervengono i compagni di viaggio della Formula 3 e Il Volo, ma anche la PFM, tanto per dare un’idea di cosa possa accadere tra questi solchi registrati nei primi giorni di luglio del 1972. Cesare Monti spiega l’ottima resa dell’immagine di copertina: fu l’idea di posizionare il buon Alberto all’interno del frigorifero rossodipinto e, su ispirazione delle note incise sul LP, di stimolarne gli istinti rabbiosi, lanciandogli contro amenità come uova fresche, salsa di pomodoro e verdure varie durante gli scatti fotografici. Altrettanto viscerale risulta, infatti, il mood di questa straordinaria raccolta, realizzata in soli quattro giorni, con la logica della jam session, ossia d’improvvisazione. Certo compaiono echi di jazz, vista l’estrazione di alcuni dei suoi partecipanti, ma l’impressione e la tinta generale di tutte e sei le tracce, resta radicalmente rock. Non è affatto sorprendente che ''Sognando e Risognando'', il disco più progressivo della Formula 3, ovviamente incluso in questa guida, sia della medesima annata, probabilmente la più gloriosa e florida di spontaneità. Alle spalle dei musicisti aderenti al progetto c’è Lucio Battisti, l’artista al vertice della Numero 1, col quale molti di loro collaborano da tempo. Il testo del brano più irruento del disco, che apre il secondo lato, è infatti da lui firmato e vanta una delle sezioni ritmiche maggiormente in ascesa del periodo (i “premiati” Di Cioccio e Piazza), nel ben riuscito tentativo di emulare un power trio hard blues sul modello dei Cream o dell’immancabile J.Hendrix Experience, di cui Radius conserva l’indelebile ricordo di un fugace incontro personale, avvenuto a Milano nel 1968. Un altro vorticoso e granitico rock’n’roll, ‘Il Mio Cane Si Chiama Zenone’, conclude la sequenza, mettendo in risalto il talento di un virtuoso pianista di nome Vince Tempera passato alla storia come compositore, direttore d’orchestra, nonché sessionman di prestigio sul suolo nazionale, che lo riproporrà in ‘un suo album solista uscito per la Harvest nel 1973. E poi Demetrio Stratos, all’epoca nella medesima scuderia, presta la sua vocalità dall’immenso potenziale soul e conduce il gioco in ‘To The Moon I’m Going’, di cui risulta anche coautore. Le sue sole dita, invece, si muovono sulla tastiera dell’organo in un brano strumentale dal titolo profetico: ‘Area’. (Mox Cristadoro)