recensioni dischi
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FRÉDÉRIC D. OBERLAND & IRENA Z. TOMAŽIN  "Arba, dâk arba"
   (2020 )

Questa, appena pubblicata dalla Hallow Ground Records, è un’ermetica, oscura ed affascinante produzione, concepita come colonna sonora per un’opera di installazione dell'artista francese Fanny Béguély. La medesima ha avuto luogo presso Le Fresnoy - Studio National des Arts Contemporains di Tourcoing, Francia, nel dicembre 2019. E’ una produzione che fa da supporto alla messa in opera di concetti astrusi, inerenti alla propensione umana ad autoesaminarsi, a sondare i misteri di passato, presente e futuro. Questa è l’arte fotografica di Béguély con le sonorizzazioni di Frédéric D. Oberland and Irena Z. Tomažin. La forma discografica è composta da cinque tracce di lunghezza complessivamente ampia. Sperimentazioni e complesse sonorizzazioni. Descrittivamente da rappresentarsi come una fitta rete di paesaggi sonori, con canti mediani, tra il mistico ed il moderno, tra il naturale e l’irreale, che sonorizzano e vocalizzano il persistente desiderio di decifrare i segni caratteristici della natura. Protagonisti indiscussi sono la ghironda o hurdy-gurdy elettrico e la voce femminile, trattata con furia espressiva. Quest’ultima a tratti diventa inquietante. Particolare esempio di utilizzo della voce che spesso ricorda gli studi vocali del mai troppo compianto Demetrio Stratos. In particolare, qui la perfomance che include tali vocalizzi è “Hieromancy”. Ciononostante, anche se, man mano che si ascolta, il suono della "furia elettrica" elaborata della "boîte à bourdons" di Oberland e la voce di Tomažin diventano più riconoscibili, "Grotta", prima traccia dell’album, coi suoi 14min:31sec di durata, resta un’intangibile e prioritaria produzione, che esprime esaustivamente lo stile sperimental-sonoro del duo. Ci sono poi tracce come “Amena” o “Hereafter” che, sebbene siano più condensati rispetto al primo, offrono una serie altrettanto interessante di lati musicali oscuri, panorami sonori ampi, mondi in cui perdersi, pieni di enigmi e messaggi subliminali, affascinanti e di difficile interpretazione. ”Fumes” inoltre è l’esempio di una sorta di frizione creativa che, pertanto, la fa anche essere un altro punto focale. E’ una traccia in cui si intonano canti tanto inquietanti quanto esemplari su surreali panorami sonori. Nell’evoluzione di tali sonorità, articolate in crescendo e pregne di misticismo, si varcano spesso i confini tra il fisico e lo psichico, il reale o l’allucinato. Ed è con tale risultato che ci si prefigge come unico scopo il dare libertà all’arte, intesa in senso esteso. Ossia non esclusivamente musicale. Dunque un dialogo serrato e, a tratti, artisticamente sconcertante, tra due musicisti Oberland e Tomažin, tanto affini quanto liberamente vaganti. In un album che necessita di particolare attenzione ed è certamente destinato ad ascolti consapevoli, poiché non semplici. Ma per chi è assetato di sperimentazione sonora e non si accontenta di ciò che musicalmente si appalesa in continuazione (e fastidiosamente) sulla semplice superficie visibile della produzione musicale, questo è pane per i suoi denti. (Vito Pagliarulo)