recensioni dischi
   torna all'elenco


PAINTING JAZZ DUO  "Classica"
   (2020 )

Da rispettose riletture fino ad arbitrari scempi, non è nuova l’incursione dei musicisti contemporanei nei confronti del patrimonio “classico”, in parte per una malintesa idea che, in quanto fissata su pentagramma e probabilmente apparentata al mondo fossile, le musiche di almeno un secolo fa abbiano un qualche bisogno di rivitalizzazione ed infusione di spirito (tacendo sulla “attualizzazione”). Sorvolando su più o meno riuscite elaborazioni operate da classicisti nei confronti degli autori ascendenti (da Mozart a Schoenberg ed oltre), ad un’ampia esposizione al dubbio si prestano gli ormai innumerevoli “contributi” su cui è legittimo il sospetto circa l’onestà delle motivazioni e la caratura musicologica, da cui non sono esenti, tra i più noti, gli interventi disinvolti e corrosivi di un Uri Caine, o le riletture sterilmente letterali di un Keith Jarrett.

Lungo una successione di proposte di altalenante esito, abbiamo notato la credibilità di un duo di “musicisti non professionisti” (almeno non a tempo pieno) originari del nostro nord-ovest, di profilo solo nominalmente non di primo piano, di fatto già devoluti a fissare le rispettive e convergenti visioni in una concentrata discografia che è già un catalogo di colte e polimorfe applicazioni; intervallati per anagrafe da circa una generazione (utile a conferire maggior completezza di influenze), ad incarnare il presente Painting Jazz Duo sono i sassofoni di Emanuele Passerini e la tastiera acustica di Galag Massimiliano Belloni, che tornano a cimentarsi con il repertorio del passato (ivi includendo, in altre esperienze, anche la “classicità” del jazz) secondo un modus operandi già fissato con una (notevole) centralità nel precedente, monotematico “The Well-Tempered Duo: Bach Project” (del 2014), con una nuova ed ibrida selezione al cui riguardo ci informano, in termini di approccio e metodologia: “La musica classica, il jazz e l’improvvisazione in generale sono sempre stati i fili conduttori di tutto il nostro lavoro, fin dalla nascita del Duo nel 2008, e in occasione di qualche nostro concerto “live”, abbiamo notato un certo apprezzamento da parte del pubblico nel riconoscere all’interno delle nostre improvvisazioni alcune delle melodie più note e appassionanti dei grandi compositori classici. In questo nuovo progetto in studio ci siamo lasciati ispirare da alcuni temi e frammenti melodici di Borodin, Tchaikovsky, Mahler, Satie, Shostakovich e Dvorak. Abbiamo variato strutture e armonie di questi temi in funzione dell’inventiva del momento e dell’ispirazione, e accanto a questi brani abbiamo aggiunto alcune nostre composizioni originali, che forse restano più vicine all’estetica del jazz rispetto alla musica classica tout court, ma che nel loro insieme ci sembra seguano la medesima idea e condividano i colori del resto del lavoro”.

La sequenza si apre nella forma vigorosamente strutturata di Song For A Prince (dalle Danze Poloviciane del Principe Igor di Borodin), la cui linea melodica potrà risuonare familiare, e del medesimo autore è il successivo Appassionato, di carattere più essenziale e privato. Come il precedente, ancora da un quartetto d’archi di scuola russa è l’elaborazione di Cantabile (da Tchaikovsky), cui s’accoda, da analogo materiale, la ritmata e bizzarramente teatrante Dmitri, nome di Shostakovich, ultimo e più moderno autore russo della sequenza.

Materia affascinante per complessità quanto raramente abbordata (e qui torniamo a citare Uri Caine), la serialità sinfonica di Gustav Mahler viene abbordata dalla più giovanilistica pagina, la Sinfonia nr 1 o Titano, espressa con granitica tensione e scansione solenne; affrancato dalla scarna dimensione “minimal” cui è più spesso confinato, l’Erik Satie di Le Solitaire (dalla Gnosienne nr 1) è oggetto di un’interpretazione notturna ed introspettiva.

Concludendo la successione e l’ascolto dal passato, una trasposizione dalla Sinfonia dal Nuovo Mondo, entusiastica quanto coloristica reazione del cèco Antonin Dvorák alla sua scoperta del Nuovo Continente, ripresa con spirito contemplativo e trasparente solarità.

Ad intervallare il programma, alcuni passaggi dalla scrittura del duo, tra cui la forza abbacinante espressa da Mareblu o la lignea eleganza dell’iterativa Nordic Sun, ma ci si permette di esprimere un certo “quid” di preferenza a favore dei passaggi di matrice classica (probabilmente per l’apporto di un duplice livello di scrittura).

L’intero materiale risulta improntato dalla qualità del dialogo tra i due strumentisti, recanti peraltro il carico dell’esser epigoni di una certa, ristretta tradizione della dualità pianoforte-sax (che comunque consente di enumerare in eterogenea sequenza da Barbieri-Brand, Hancock-Shorter, Waldron-Lacy, fino a Taylor-Surman, Iyer-Mahanthappa, Laubrock-Davis e la serie continua); la timbrica minerale e il pianismo nitido di Belloni, di calligrafismo trans-stilistico, manierato e non eccedente in retorica, infonde materia grammaticale al dispiegamento delle pagine, in sinergia con le ance speziate e svettanti di Passerini, almeno in parte più esposta nel tracciamento della linea solistica, ed apprezzabilmente segnata dalle voci dagli albori storici del free.

Al completamento di una nuova sequenza, coerente rispetto ai già apprezzati caratteri, il duo si conferma ulteriormente apprezzabile per concretezza di scelte, ed abile ad esplicitare con apparente ma fattiva semplicità di mezzi una musicalità fluente, che erompe per costruttiva visionarietà e forza persuasiva. (Aldo Del Noce)