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DISKANTO  "Temerari sulle macchine volanti"
   (2020 )

L’album dei cremonesi Diskanto, “Temerari sulle macchine volanti”, tiene alto il volume degli amplificatori, con un classico sound rock italiano, con testi che ambiscono ad essere da cantautore, come testimonia la scelta della cover scelta in chiusura, “Povero tempo nostro” di Gianmaria Testa (l’originale uscì postumo). Il pezzo d’apertura “Il lanciatore di coltelli” gioca con le parole a tema: “Una vita da precario allenato ad evitare, non riesce a fare centro per paura di far male (…) l'estro non ti servirà a recidere un legame”. Il secondo titolo riprende un discorso molto amato e ripreso da più artisti: “Odio gli indifferenti” di Gramsci. Qui i Diskanto aggiungono parole proprie: “Odio gli indifferenti coi denti bianchi e le mani sporche (…) odio le schiere di indolenti travestiti da sciamani”. La voce spesso alterna il cantato ad un recitato ammonente. “Ci credi ancora?” ti chiede se credi ancora all’Onnipotente, e a molte altre cose, come la verginità e la celebrità: “Ti resta il tempo di cambiare, liberare il tuo domani, e dare fuoco al libro delle verità”. Accanto alla voce principale della band, compare quella di Omar Pedrini. “Vecchie abitudini” volge lo sguardo impietoso sull’attualità fatta di paura. “Nella ricerca di uno scopo, nella difesa di un confine, il fine ultimo del gioco (…) l’ira che accende il fuoco, nell’attesa di un je suis, basta così poco (…) dove ogni Dio presenta il conto e ogni preghiera sa di truffa come una muffa inebriante, il punto G della mia rabbia in questa gabbia intollerante”. Un tempo moderato per “Zep”, brano dedicato probabilmente a un idealista: “Zep lo sai, chi comanda è sempre il re di denari (…) non c'è più gruppo che non sia d'affari. Zep che vuoi, è la fatica di esistere, Zep è per noi, destinati a resistere”. L’arrangiamento, dal ponte al finale, è arricchito e addolcito dal flauto di Franco D’Aniello dei Modena City Ramblers. “Un giro di vite” contiene il titolo dell’album ed è un altro acuto gioco di parole: parla di un giro di alcune vite, nel senso del plurale di vita. “Serve un giro di vite, voi non capite, anime in pena a cui han rubato la scena. Fragili rocce, e gocce di assenza, immersi in questa distanza. (…) Penso ai temerari sulle macchine volanti, caddero ed avevano ali grandi”. Spicca in questo brano l’arrangiamento, dove la chitarra elettrica dialoga con l’acustica pulita. “Trentamila giorni” canta sobriamente di desideri: “E non mi basta più sentire il tuo respiro”, mentre “Non avrai il mio scalpo” rialza un’intenzione hard blues più grezza. Ed infine siamo arrivati alla cover di Testa, “Povero tempo nostro”. Per quanto ci sia la chitarra distorta, si sente comunque il salto di mood tra questa interpretazione, e le canzoni della band. Il suo carattere di “bonus track”, di brano speciale, è sancito dalla presenza del pianoforte. La struttura viene allungata, rispetto all’originale, da un assolo di chitarra in wah, melodico ed espressivo. I Diskanto mostrano le proprie doti di rocker, e piaceranno a chi segue il rock tricolore, da Ligabue (tradotto: dai Rocking Chairs di Rigo) ai Litfiba. Vista l’abilità nell’uso delle parole, per il prossimo lavoro si potrebbe tentare anche di lavorare su una musica più acustica, che valorizzi la voce e riscaldi i messaggi. Ce n’è così tanto bisogno, in Italia. (Gilberto Ongaro)