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VLADISLAV DELAY, SLY DUNBAR & ROBBIE SHAKESPEARE  "500-push-up"
   (2020 )

Casetta nel bosco, un gruppo di amici ascolta reggae mentre si prepara la cena tra convivialità e buon umore.

Stacco. Inquadratura esterno notte buia nel bosco. Le luci dalle finestre della casetta sono gli unici punti luce, il reggae rimbomba ovattato unito a rumori sinistri, e il respiro dell’aggressore fa intuire che la tragedia è prossima, e da li in poi saranno solo lacrime e sangue.

Avete presente nei film horror la scena che precede la tragedia, quando la quotidianità sta per essere spezzata dall’arrivo degli assassini seriali, dal maniaco o dal lucido squilibrato di turno?

Ecco, la prima sensazione che rimane dall’ascolto di “500-Push-Up” (appena uscito per Sub Rosa Records) è più o meno questa.

Infatti in quest’opera vivono due anime: Vladislav Delay da una parte, Sly Dunbar e Robbie Shakespeare dall’altra, che si rincorrono, si abbracciano e si spingono lontano creando, in ogni brano, dei mondi sospesi in un equilibrio tanto precario quanto affascinante.

Ma veniamo, allora, ai protagonisti: Vladislav Delay, uno dei grandi protagonisti della musica elettronica degli ultimi vent’ anni, è solo uno degli pseudonimi che celano l’identità del finlandese Sasu Ripatti, noto anche come Luomo, Uusitalo, Sistol e via dicendo, autore di una produzione infinita che spazia dall'house alla techno, dall'improvvisazione al jazz fino all’ambient e alle colonne sonore (come quella di ''Borg McEnroe'').

Sly Dunbar e Robbie Shakespeare, meglio noti come Sly & Robbie, sono due musicisti giamaicani, rispettivamente batteria e basso, in giro dagli anni settanta, suonando un po' con tutti (da Mick Jagger a Bob Dylan) grazie al loro magico Jamaican touch.

Per cui, gelidi beat finlandesi e calde vibrazioni reggae, appuntiti suoni post industriali e gommosi groove in levare di basso e batteria.

Il risultato della somma di addendi così diversi, in “500-Push-Up”, è quindi composto da nove brani con titoli numerati da 512 e 528.

E si va da i tribalismi hi-tech di “512” alle oscurità dub di “520”, tra gorgoglii industriali e sirene che sembrano fantasmi di operai che recitano requiem per le loro fabbriche dismesse, dalla giungla per suonerie telefoniche di “514” al crescendo ipnotico di “519”, fino all’assalto rumorista con tanto di martelli pneumatici in “522”, e alle percussioni infernali in “516” ed al cinguettante finale di “528” che sa tanto di resa dei conti, come dire che alla fine rimarrà solo un’inquietante macchina che, fischiettando, procede nella propria direzione travolgendo gli ostacoli senza minimamente curarsi della loro natura.

E noi, qui ad aspettare il suo arrivo, non sappiamo se dobbiamo ballare o scappare. (Lorenzo Montefreddo)