recensioni dischi
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JEFF BUCKLEY  "Grace"
   (1994 )

“Grace” è un classico degli anni novanta. Jeff Buckley, morto nel Mississipi il 29 maggio 1997, dalla voce fatata e dalla personalità tenebrosa, rimarrà uno degli artisti più significativi di quel decennio. In questo disco Jeff ci mette l’anima. Bastano i primi magici secondi di “Mojo Pin” a farcelo capire; un lento sorgere dalle tenebre, le note suadenti e la melodia plasmata con dolcezza. Questo è tutta l’essenza di Jeff; il suo è un canto dell’anima. Per di più, la pacata bellezza delle composizioni esplode spesso in attacchi isterici. Nella stessa traccia d’apertura troviamo un finale ossessivo che ha ben poco a che fare con l’incedere pacato del brano. La title track è uno stupendo folk rock venato di colori suadenti. La voce calda prima accarezza l’ascoltatore, lo ammalia ed infine lo turba in un crescendo finale drammatico e catartico. La piacevolezza delle dieci tracce è innegabile; si passa dal pop rock disteso di “Last Goodbye”, caratterizzata dalle chitarre acustiche, dalle orchestrazioni morbide e dal tono rilassato del canto, alle ballate notturne come “Lilac Wine”, un canto mistico e solitario, che riporta alla mente il padre di Jeff, Tim Buckley. Stesse atmosfere si respirano in “Hallelujah”e “Lover, You Should've Come Over”; la prima, di Cohen, è un monologo ancora più desertico, accompagnato da un andamento classicheggiante di chitarra. Un inno struggente, la voce emozionata ci regala brividi in continuazione. La seconda è una ballata magicamente equilibrata che cresce con forza ed ammalia l’ascoltatore. I momenti più veementi sono “So Real”, brano rock intarsiato di ricami ipnotici che esplodono nel ritornello trascinante e nelle distorsioni di chitarra, e “Eternal Life” con il suo riff grezzo di chitarra che ha poco da spartire con la raffinatezza del disco, ma non sfigura. Anzi, Buckley si trova a suo agio anche quando si lancia in grida sfrenate. L’atmosfera è simile ad un gospel, la religiosità è molto marcata; “Corpus Christi Carol”, con la sua melodia classica, è una gradevole variazione sul tema. Il finale è lasciato a “Dream Brother”, un delicato canto alla luna, il brano più psichedelico dell’album. Un viaggio meraviglioso attraverso mondi vacui. In conclusione, “Grace” è una sintesi lussuosa di melodie angeliche, emotività e gusto. Ad un livello più superficiale lo si può ascoltare come un semplice disco di pop-rock ispirato, ma nasconde in realtà tutta la magia dei migliori artisti del passato, da Tim Buckley a Van Morrison. Sicuramente è un punto fermo nel panorama della musica leggera dello scorso decennio. (Fabio Busi)