recensioni dischi
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MAD DOGS  "We are ready to testify"
   (2020 )

Nell’economia della cosa, poco conta stabilire se ricordino di più i Not Moving o gli Stooges: la sola cosa importante sono questi quarantuno minuti di martellate a testa bassa, accordi secchi e tesi, dieci tracce grondanti garage-rock sporco q.b., dritto al punto e senza fronzoli. Nessuna pretesa cervellotica o velleità sperimentale: pura urgenza, nuda essenzialità priva di orpelli, fedeltà alla linea nel nome di una immarcescibile, incrollabile, strenua sacca di resistenza al trascorrere del tempo.

A tre anni di distanza da “Ass shakin’ dirty rollers” e sempre su etichetta Go Down Records, “We are ready to testify” segna il ritorno dei Mad Dogs, quartetto originario di San Severino Marche (Marco Cipolletti, Luca Zenobi, Simone Mosciatti, Giacomo Zepponi) formatosi nel 2009 e da allora consacrato ad una gustosa rilettura del più viscerale rock di matrice 70’s.

Con la consueta foga imbastiscono una nuova sarabanda ininterrotta di riff taglienti, ritmi serrati in quattro quarti e incastri fragorosi delle chitarre, una sequenza debordante di brani squadrati dal passo sostenuto che rallenta appena i giri nella ballata stonesiana di “What do you say?” e nella chiusura raccolta di “Postcard from nowhere”, altrove conservando intatta ogni oncia della graffiante ferocia già ben evidente nel micidiale trittico di apertura: “Leave your mark on what you do”, “No regrets” e “Not waiting” definiscono il perimetro in un assalto frontale tra Strokes e Jet, lineari sì nella struttura, ma mortifere ed efficaci nel marcare il territorio.

Con un tiro che non flette mai, il resto è uno smanioso vortice di tensione, una tenace aggressione alla quale ben volentieri si soccombe, perdendosi tra la sassata della title-track e la bordata à la Ramones di “I believe in r’n’r”, trionfo di elettricità come si usava ai bei tempi perduti: fatevi sotto bambini, certa musica bisogna saperla fare. (Manuel Maverna)