recensioni dischi
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THE CONVENTIONALS  "Conventionals album"
   (2020 )

Ogni volta che una band riprende in mano brani già incisi in passato per ridargli nuova luce, mi chiedo cosa li abbia spinti a intraprendere tale operazione. Momentanea crisi creativa, oppure convinzione che tali pezzi abbiano ancora qualcosa da dire? Nel caso dei Conventionals direi la seconda ipotesi, nonostante siano passati ben 24 anni dalla loro incisione in modalità acoustic-demos e poi “elettrificati” tre anni fa. Oggi, in questo “Conventionals album”, il duo Charlie Out Cazale ed Alex Redsea (già militanti in altri apprezzati progetti) ambisce a rielaborare, ulteriormente, gli undici pezzi in elenco verso un sound più accattivante e nostalgico che regnava nel trentennio ’70-’90. E’ decisamente (e fieramente) un gradevole balzo “convenzionale” nel tempo: infatti, non badano a stilizzare le tracce con rinnovata modernità ma preferiscono lasciarle più o meno intatte, cosi come progettate in origine. Ne scaturisce un buon lavoro, nulla di eclatante, ma neanche da sottovalutare, poiché l’intento del combo è di quelli coraggiosi, contemplato nel rischio di non voler (di proposito) attualizzare il progetto: non so se l’idea potrà dargli ragione ma la passione immessa è inopinabile. In “Beyond all belief” c’è quel molleggio vocale e chitarristico che rimanda ai Big Audio Dynamite dell’ex Clash Mick Jones, oppure è apprezzabile il folk-rock delle morbide “Sunday dream “ e “Can’t wait”, mentre le sussurranti “Feel the world “ e “Nothing to lose” cospirano con toni bassi, tipici dei poeti maledetti. Invece, le psico-premesse di “Give me a home” aprono l’ingresso ad un episodio noise-rock con fraseggi blues che si estendono per oltre sette minuti deliranti. Infine, dopo la sferzata punk di “Skary”, i ragazzi chiudono coi 90 secondi in classic folk-ballad di “Just a whisper”: ecco, “giusto un sussurro” in più per rifinire un’opera meditata fin troppo a lungo ma definita con propositi ardimentosi ed onesti. Tanto basta per perdonare ai Conventionals una pronuncia inglese non sempre centrata a puntino, però centrata è invece stata l’idea di “resuscitare” brani che giacevano (immeritatamente) impolverati nel cassetto. (Max Casali)