recensioni dischi
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ARURMUKHA  "14.11.90 - Ein akustisches psychogramm"
   (2020 )

14 novembre 1990, Berlino. Da poco più di un mese la Germania è unita. Ma dei gruppi autonomi stanno occupando, dal 29 aprile, 13 edifici situati in Mainzer Straße, destinati alla demolizione. Dal 12 novembre le forze di polizia iniziano a sgomberare le case. Per due giorni ci sono violenti scontri, che culminano il 14 con l’arrivo di ben 3000 agenti, elicotteri, idranti e gas lacrimogeni. La più grande operazione di polizia nella storia del dopoguerra tedesco. Nel 1993 Marc Weiser e Jürgen Hendlmeier pubblicano un album che funge da racconto in suoni di quei giorni, in ordine cronologico. Quest’anno cade il trentennale dall’evento, e la Karlrecords ripubblica questo LP, definito “uno psicogramma acustico”. Il duo si propone col nome Arurmukha, nome di un demone vedico che simboleggia l’avarizia. Qui si riferisce alla cultura di sfruttamento del capitalismo. Lo psicogramma acustico inizia con “Wer’s glaubt, wird selig” (“chi ci crede, sarà benedetto”), che ha una stupida musichetta da pubblicità televisiva vintage, e una voce narrante seria, disturbata da una voce esterna, che assomiglia a quella di Homer Simpson per capirci. “Tanz auf dem vulkan” avvia percussioni industrial, mentre la voce punk canta in tedesco, raddoppiata da una voce pitchata verso l’alto (à la Alvin). Testimonianza storica, ma anche musicale. Si sente tutto lo stile dei movimenti tedeschi anni ’80, dai quali i nostri CCCP hanno mutuato molte caratteristiche. Per “Schwarzer Montag”, una tromba suona in solitudine, immersa in un’atmosfera inquietante e desolante, con voci confuse tra comunicati di polizia e urla di protesta. Una drum machine esegue un ritmo big beat, all’inizio tenuta lontanissima nel mix, come se la sentissimo da una radiolina sul marciapiede. Poi cresce e ci avvolge, con una cupa chitarra elettrica. Sugli scarni impulsi elettronici di “Arurmukha”, una voce canta un lamento folk, mentre in “Gram’s grab” le percussioni assumono sembianze tribali. “Beirut bei nacht” entra nel vivo dello sgombero, tra porte sfondate e spari. Un momento toccante quello di “Weine nicht, mein kind” (non piangere, bimbo mio). Organo e tromba suonano a lutto, accanto a un arpeggio di synth in staccato, che rende il pianto elegante. Nella seconda parte si aggiungono sospiri di sofferenza e un rullante militare. Davvero emozionante, comunque la si pensi politicamente. Così si chiude il lato A. Il lato B inizia con un altro annuncio tg, “Uns bei nacht”. “Informationsflache 1” vira nella drone music (tappeti sonori statici), e un flash di macchina fotografica accompagna stralci di interviste. In “Alles bleibt beim alten” torna la voce acida punk. Vi farà strano leggerlo, ma questo loop di suoni metallici, con chitarra pulita e basso in slap, ricordano l’atmosfera sonora di “Excellent birds” di Peter Gabriel. Non c’entra nulla il contenuto, ma quel tipo di suspense c’è. “Radio kalaschnikow” è un minuto di sample di radio che trasmette un brano tedesco in stile U2, dove chi canta se la prende (arrischio una traduzione) col mondo che “non ha nulla se non i soldi”. “Wir warten auf’s kristkind” è macabro: loop sinistri e tremolanti ed organo da film di Tim Burton. “Beirut bei tag” è molto più energica di “Beirut bei nacht”: percussioni martellanti e incursioni di suono synth quadrato, col ritorno dei cori di protesta. Sembra il commento musicale di uno dei servizi di Diego Bianchi per PropagandaLive: verità filmate senza filtri. Altre interviste con flash fotografici su drone music in “Vakuum”, poi è il momento di “Trans-zen-dental”, una canzone vera e propria. La voce canta solenne: “Ein neuter Tag beginnt (…) um frei zu sein”. Cioè, un nuovo giorno inizia per essere liberi. Alla luce di quanto narrato, ci vedo del sarcasmo, soprattutto per quei brutti archi di tastiera in accompagnamento, che sembrano suoni da videografica promozionale della UE. Inoltre, dalle poche parole che riesco a tradurre, “La nostra fazione pensa che questo sia falso”, quindi il testo è un’invettiva contro le false illusioni del futuro occidentale. I 6 secondi di “Dä dumme Ebahard” (lo stupido… Ebahard) contengono una frase agitata che chiude il disco, ma cercando “Ebahard” su Google trovo solo costosi orologi da polso... Stupidi beni di lusso? Al di là delle difficoltà di traduzione, questa testimonianza è preziosa, un salto in quel 1990 berlinese, che ci fa fare i conti con le critiche al capitalismo rampante. All’epoca, in Italia si sarebbe detto: “Drogati dei centri sociali”! Alla luce del 2020, forse avevano ragione loro? (Gilberto Ongaro)